mercoledì 23 dicembre 2009

Balla che ti passa


Da piccola, come da copione, volevo diventare una ballerina di danza classica. Non lo volevo solo io, ma anche Nonna Cattiva e ancora più di lei la sua mamma, la mia nonna.
Mia nonna, fin dall'età di quattro anni, mi accompagnava a scuola di danza, con una Mini Cooper color cacca. Eravamo nei primi anni '70 e avere una nonna che guidava la macchina era un fiore all'occhiello. Se poi la nonna in macchina cantava con te a squarciagola e ti raccontava storie bellissime c'erano i presupposti perché diventasse la tua eroina. E lei lo era. Era la mia musica, il mio esempio di vita vissuta con passione e nel mio cuore è tutt'ora la persona più bella che sia mai stata nella mia vita. Quando ci ha lasciati, anche se erano già capitati episodi di morte prematuri, io ho veramente realizzato per la prima volta cosa significasse perdere una persona che ami.

Mia nonna amava la musica, la danza e lo spettacolo e lo ha trasferito ai suoi figli e ai suoi nipoti e magari qualche soddisfazione sono riuscita a dargliela.
A sei anni iniziai i corsi propedeutici dell'Accademia Nazionale di Danza di Roma. Frequentavo con rigore e assiduità le lezioni che però, per i piccoli, si tenevano in vecchie palestre sparse in giro per la città. Mi ricordo che per un paio di anni andai in una sede di Via de' Giubbonari, per chi è pratico di Roma nella zona di Campo de' Fiori, dove Giordano Bruno fu arso vivo e, all'epoca, eravamo nel pieno degli anni di piombo. Capitava che annullassero le lezioni per le manifestazioni oppure ti fermassero per chiederti di perquisirti per vedere se in borsa portavi una bomba molotov. E mia nonna in tutta risposta faceva il segno del Duce come volesse mettere le cose in chiaro. Era una donna di quell'epoca e che ci piaccia o no molte si riconoscevano in quella storia. Crescendo ho poi maturato una mia posizione ma su certe idee, con lei, non mi sono mai messa di traverso, perché mi divertiva, mi insegnava la forza di determinazione, il rispetto per le persone, l'amore assoluto in cui poi non ho mai più creduto.


Alle scuole medie entrai ufficialmente in Accademia. Mia nonna dalla mini marrone era passata a una lunga Ford argento metallizzato. Era piccola di statura e per arrivare al volante metteva due cuscini sotto al sedere. Chiudo gli occhi e la vedo: lo sguardo spavaldo e le mani lunghe.
In Accademia frequentavo le lezioni di ballo, compresa la scuola obbligatoria, tutti i santi giorni, in una sede meravigliosa sul colle dell'Aventino. Dalle ampie vetrate delle aule dal pavimento scricchiolante di legno, odor di gesso e sudore, vedevo, mentre praticavo alla sbarra, il colle Palatino e le rovine dei palazzi imperiali romani. Vivevo in una specie di bolla insonorizzata in cui alimentavo un sogno che via via si diluiva attraverso le regole ferree, la ruvidità della vecchia direttrice che proibiva al suo passaggio di giocare, il dolore provato per sviluppare il collo del piede, scaldato dall'olio di canfora. Proseguivo sempre più demotivata, accattivata dai richiami del mondo intorno che andava avanti, fin quando, in prima liceo, si fece acuta una voce di ribellione, tanto grande da portarmi una sera a respirare forte e dire a mia madre, in uno stato di apnea, che avrei smesso, che la danza continuava a piacermi ma che non volevo più stare a quelle regole, che avrei potuto fare altro. Nonna Cattiva forse non me l'ha mai perdonato ma io feci, allora, la mia prima scelta autonoma.

Da allora non ho mai più praticato la danza classica. Ho frequentato corsi di danza moderna, contemporanea, jazz, afro-cubana ma mai più la danza classica. Dopo che hai provato un frustino da cavallo sulle costole per insegnarti a stare dritta, capito che ci vuole vero talento per diventare qualcuno, sentito troppe volte che sei troppo alta, che devi mangiare poco o diventi grassa, inizi a pensare che la vita è altrove e va vissuta diversamente.

La danza però ti rimane dentro, un marchio indelebile che ti accompagna nei movimenti e si incolla a ogni singolo muscolo del tuo corpo e della tua anima.
L'elasticità, le aperture e la fluidità di me bambina sono andate perdute ma, tutt'oggi, quando metto un pezzo di Tchaikovsky, braccia e gambe si animano e mi lascio andare a un ballo liberatorio.
I miei bambini hanno scoperto questa cosa e, se una musica li ispira, mi chiedono entrambi "Mamma balli?". Vogliono che li prenda per mano, in tondo, in braccio, a terra e partono le risate dall'interno della pancia e si divertono immensamente. Non si stancano mai. Sono io che con il fiatone devo dire loro "basta", la mamma è arrivata. E non esistono discriminazioni: Leo e Picca si lasciano andare, maschi e femmine, ballerine e soldatini. A nessuno viene in mente che la danza è roba da tutù, che è solo di colore rosa e per chi ha i capelli lunghi. Il ritmo ti prende da dentro e non ti chiede di che sesso sei.

Nella mia sala da pranzo c'è un ritratto di mia nonna. I bambini mi chiedono spesso se sono io. "Quella è la mia nonna. E' lei che mi ha insegnato a vivere con passione".

Le immagini sono tratte dal sito dell'Accademia Nazionale di Danza.

sabato 5 dicembre 2009

Una famiglia liquida

La mia è una famiglia liquida.

Non chiedete al Doc di dove è. Ti risponde con una lunga pausa, come per mettere ordine nelle sue origini: nato a Napoli da una calabrese, si trasferisce a Catania a pochi mesi di vita, nella città natale del padre. Qui ci resta per sette anni per poi muoversi su Milano, studiare da doc a Pavia, lavorare a Lecco e poi di nuovo a Milano, dove nasce Leo. E poi a Bologna per vivere tutti insieme, dove nasce Picca. E se fin'ora non vi siete persi per l'Italia, vi sarete resi conto che in questa famiglia non ce n'è uno nato nella stessa città. Quando compilo moduli burocratici che prevedono stati di famiglia il padre è NA, la madre (cattiva) è RM, il primogenito è MI e la seconda è BO. E se tutto funziona prossimo anno siamo a PR.

Intorno alcuni sono tornati in Calabria, altri a Roma, altri sono tornati dagli States e altri ancora negli States.

Fermi tutti! Fermatevi tutti!

Ogni tanto questa liquidità assorbe rumori di sottofondo dai mille accenti e modi di dire. Tanti, troppi o mai abbastanza approcci culturali distanti invadono il campo. Per forza di cosa i punti di osservazione sono molto diversi e raramente coincidono con la voce narrante.

A me i luoghi comuni assegnati ai luoghi di origine mi fanno ridere perché tutti sono tutto e il contrario di tutto.

Spesso mi chiedo perché trovo compatibilità e sintonia con voci sconosciute nella rete rispetto ai vicini di casa.

Dove è la verità? Nel mondo fisico tangibile ma spesso sfacciato e maleducato o nel mondo virtuale, garbato e regolato da norme di comportamento spontanee? E se le due dimensioni coincidessero?

Per giocare con i miei figli ho imparato molte filastrocche musicate. Prima del loro arrivo le lallabavo soltanto poi, con Filastrocche.it, ho imparato le parole. Alcune le ho inventate e stasera ne dedico una a Jolanda, lei capirà.

Si chiama "L'orsetto Zafferano", io ispirata dalla marionetta che vedete in foto, dalla passione per il cibo di mio figlio Leo, nato a Milano in una famiglia liquida:
Io sono Zafferano, l'orsetto di Milano.
Mi nutro di risotto perché ne sono ghiotto.

Se c'è la cotoletta ne voglio una fetta.
Se poi c'è il Panettone ne sono golosone.

La mia bela Madunina canto in doccia la mattina.
Di giorno vado in Brera, ci resto finché è sera.

Tifo l'Inter con papà,
ma ci vuole fedeltà [n.d.a. ricorreva l'anno 2005, tempi un po' più duri per la squadra del doc]

Sono amico di Leonardo...
che talvolta è un po'...PETARDO!!! [n.d.a. ricorreva quella fase meravigliosamente rumorosa]

lunedì 23 novembre 2009

La solitudine di una Mamma Cattiva

[Le cattive madri di Giovanni Segantini, tratto da "La solitudine delle madri" di Marilde Trinchero]

Il titolo è un po' forte ma rende rispetto alle percezioni vissute in un periodo molto intenso trascorso insieme ai miei bimbi piccoli. Intendiamoci. Per me un bambino "piccolo" può definirsi dai 0 ai 24 mesi, poco più poco meno, perché credo di essere una di quelle mamme che vive l'uscita dal tunnel intorno ai due anni di vita dei propri figli. Per me, su per giù, il momento coincide con la fine di questa estate.

Il titolo è poi un chiaro riferimento e quindi una voluta citazione del libro "La solitudine delle madri" di Marilde Trinchero che, non a caso, ripongo nella libreria oggi che scrivo questo post. Perché il libro di Marilde l'ho affrontato tradizionalmente dalla prima all'ultima pagina sul filo di un pensiero unico, ma poi l'ho ricominciato a breve distanza (non l'ho quindi recuperato come un libro di cui si sente la nostalgia) e l'ho preso a morsi, sottolineando con una matita dei passaggi significativi che hanno evocato molti dei miei momenti difficili. Ho chiuso però il libro con una certa soddisfazione perché, oggi, che lo ripongo accanto agli altri della libreria, mi sento di non essere più sola. Sento di non sentirmi più sola perché non sono più sola dentro, perché dentro di me si è accomodata una voce narrante consapevole dei propri limiti, la stessa che mi ha suggerito di avviare questo blog, che mi ha spronato a dichiarare le mie debolezze per smontare i falsi miti della mamma capace di ogni cosa e per riconoscere molti dei sentimenti negativi vissuti: la noia, l'incertezza, l'inadeguatezza, la stanchezza fisica e mentale, l'intolleranza, il rimpianto.

Allineo il libro un po' stropicciato perché mi ha seguito in questi due mesi di vita un po' itinerante: Marilde è stata con me a casa a Bologna, spesso tra le mani di mia figlia; in un appartamento senza anima di Parma, bagnato da lacrime di pura stanchezza; a Milano in albergo; a New York, ma anche vicino a Boston, durante un incontro tra sorelle di generazioni diverse; a Londra, poi a Torino come se nel suo cammino avesse voluto abbandonare in luoghi diversi lo strascico di solitudine di tante madri che si sentono inadeguate, che amano i loro figli infinitamente ma non riescono a viverlo con leggerezza. E piano piano mi sono alleggerita io, m sono lasciata andare e sono tornata a casa con il batticuore, con il desiderio di vederli, di toccarli, di annusarli.

Riconosco di non aver vissuto bene i primi due anni dei miei bambini. Ho forse recuperato e goduto meglio Picca ma con entrambi ho sperimentato con grande disagio la poca comunicazione di questo tempo breve eppur infinito. Probabilmente le parole, la comunicazione rivestono per me un ruolo così determinante che mi sono trovata incapace a godere della loro bellezza non verbale.

Verso la fine del libro Marilde, arteterapeuta, racconta come le donne del gruppo, dopo aver praticato una tecnica di rilassamento, osservano alcune immagini raffiguranti la maternità. Ne devono scegliere una per poi riprodurla raccontando i possibili sentimenti dell'artista. Come un membro di quel gruppo scelgo l'immagine con l'albero:
"perché rappresenta la vita. Ma non solo la vita dal punto di vista materno : anche la mia. E mi suggeriva l'abbandono, il lasciarmi andare, lo scivolare via. Questo dipinto si intitola: Le cattive madri? Ebbene voglio essere una cattiva madre se secondo il senso comune - ancora oggi - una donna che vuole essere donna oltre che madre, è così considerata. Il corpo della donna che si stacca mi riporta anche al distacco dalla mia, di madre. Che fatica noi donne! Separarci dalle nostre madri, e poi dai figli: ma è forse l'unico modo per mantenere forte un legame con le fatiche, le gioie, gli affanni e le gratificazioni, volgendo nel medesimo tempo uno sguardo al futuro."
Il libro di Marilde è molto bello ma ciò che lo rende unico è la continuità di pensiero della sua autrice che è sempre voce partecipativa dei nostri blog. Grazie Marilde.

lunedì 9 novembre 2009

Donne Pensanti - La fragilità delle pareti femminili

Donne Pensanti - Resistenza attiva 2.0. Testimonia il femminile

Partecipo con un po' di pesantezza nel cuore all'iniziativa di Panzallaria: Donne Pensanti

Lascio commentare in quell'ambiente.

martedì 27 ottobre 2009

Take it easy


Circa due settimane fa mi sono beccata l'influenza. Un raffreddore gigante e picchi di febbre da cavallo che mi hanno obbligata a restare a letto durante la notte e a casa durante il giorno, ma sempre dietro al pensiero del lavoro e delle cose da fare. Sono convinta che la stanchezza fa la sua parte nell'abbassare le difese e farti crollare. L'occasione mi ha costretta ad andare dal mio medico curante, una dottoressa assegnatami da quando vivo a Bologna, dal lontano 1994. Ci sono andata con la coda tra le gambe perché mi sono presentata con i risultati di analisi fatte in marzo e mai più lette. Mi sono presentata con un livello di stress smisurato per cui lei mi ha subito detto: "si sieda e parliamone".

Questo medico per me è sempre stato un po' speciale. In un momento critico della mia vita è stata inspiegabilmente partecipe, oltre il normale supporto che ti aspetteresti dal medico generico. E l'ho giustificata pensando che fosse un caso fortunato, uno di quegli angeli custodi che compaiono sulla strada e si prendono cura di te. Anche questa volta mi ha dato massimo supporto. Le ho raccontato dei cambiamenti, della complicata organizzazione familiare, di come mi sentivo e come sempre abbiamo condiviso dei pensieri importanti. Poi però si è svelata. Mi ha detto una di quelle cose che ogni tanto una persona qualunque riesce a dirti fermando la tua attenzione e facendo la differenza. Mi ha spiegato il perché fosse sempre stata così attenta alle mie sorti. Mi ha detto di aver accolto con grande gioia, anni prima, la mia rivincita sulla vita perché la vedeva come una rinascita, un'occasione di riscatto, la stessa che stava vivendo lei con una seconda occasione sentimentale.
Ecco perché. Tifava per me, tifando per se stessa. Poi ha continuato e ha aggiunto che nell'osservarmi, nonostante avessi fatto dei passi da gigante, avessi trovato la mia strada in autonomia e poi arrivati i miei bambini, lei non avesse mai notato la mia capacità "di godermi la vita".

Quando ha detto questa cosa si è fermato il tempo, è partita una specie di moviola e mi sono vista dall'esterno e ho capito che aveva ragione, terribilmente ragione. Altre persone stanno provando a dirmelo in queste circostanze: i miei con estrema apprensione, il doc con un po' di esasperazione, le mie amiche di sempre che mi conoscono da troppo tempo e hanno le prove di questa osservazione, persone giunte da poco nella mia vita che però hanno già percepito questo approccio alla vita. Come se fossi incapace di fermarmi e gioire, prendere le cose con leggerezza e godere.

Le illuminazioni sono delle pietre miliari nella vita. Non sempre mettono radici ma è probabile che ti diano una spinta in avanti.

Il dottore ha fatto degli esempi pratici: "Mamma Cattiva, ma si goda questa nuova esperienza! Sorrida ai nuovi incontri, alle trasferte, alla casa da single dal lunedì al venerdì. I suoi bambini stanno bene e si stanno godendo una relazione esclusiva con il loro papà. Per una volta faccia lei il babbo che torna a casa e porta i regali". Non sobbalziamo. Ha ragione. Io devo tornare serena, devo portare in regalo il mio sorriso e non una rabbia ingiustificata per il semplice fatto di non riuscire ad essere ovunque. Devo girare l'interruttore sul classico "take it easy", anche quando semplice non è.

Dopo un'intera ora di conversazione mi ha prescritto dei medicinali e poi ci siamo accorte che non avevamo ancora guardato le analisi.

lunedì 12 ottobre 2009

Sic et Simpliciter

Oggi un po' di leggerezza. Un messaggio positivo sulla semplicità. Perché in un post precedente era emerso un valore diverso da quello che normalmente attribuisco alla semplicità. Per me la semplicità è un'aspirazione, una sogno, una visione. E' l'opposto della complessità a cui siamo inevitabilmente votati.

Solo un pensiero dedicato alla complessità: c'è stato un momento della mia vita in cui il gridare "voglio una vita semplice" mi ha portato in un baratro senza via di ritorno. La via di ritorno sono poi riuscita a percorrerla, se no non sarei qui a raccontarlo, ma il lungo percorso di analisi che ho fatto mi ha insegnato che tutti siamo esseri profondamente complessi, che non possiamo fuggire da questo e che l'unica via di salvezza è fare di questa complessità una ricchezza, una sorgente di opportunità.

Non se ne esce per sempre da quel grido di dolore ma, se ci si impegna, si imparano le strade per farsene una ragione.

Dalla recente lecture di BJ Fogg a cui ho partecipato qualche settimana fa, ho portato a casa un'interessante sollecitazione. BJ si fa promotore di "Think small. Everything big started small": le cose grandi e importanti si realizzano grazie alla sperimentazione di piccole cose. Se poi per far accadere le cose devi convincere altri, la tua capacità persuasiva dipende dalla presenza contemporanea di tre fattori: la motivazione, la capacità e il fattore scatenante.

Motivation, Ability, Trigger. In sostanza se vuoi convincere altri a fare qualcosa in cui credi, le persone a cui ti rivolgi devono essere motivate, essere capaci a fare quello che stai chiedendo e avere in quel momento il modo per fare quella determinata cosa.

Nella sua semplicità questa considerazione mi ha profondamente colpita. Quante volte troviamo cento volte più efficaci dei messaggi, delle richieste, delle azioni dirette, rispetto all'oratoria mediatica e sofisticata di molti professionisti della comunicazione? I nostri stessi figli sono campioni in questo: "MC, (Leo mangiando un'albicocca) hai sentito l'odo(r)e delle vitamine?"

Nel mio piccolo ci vorrei provare anche io e, così, ispirata da alcune immagini scattate questa estate, con cui volevo dimostrare che non è sempre necessario acquistare numerosi e complessi giocattoli ai nostri bambini, vi chiedo di aiutarmi a convincere il mondo di questa idea.

[Mollette da bucato che prima di crollare in un sonno profondo erano un bellissimo aeroplano]

Indipendentemente dall'età dei vostri figli, ricordate, attendete, osservate e quindi cogliete un momento di gioco dei vostri figli, un gioco costruito con l'immaginazione. Vorrei dimostrare quanto, con pochi mezzi e molta fantasia, sia possibile divertirsi.

Abbiamo una motivazione, la nostra, che la sollecitazione del consumismo esasperato è imbarazzante.

Abbiamo la capacità di farlo: raccontiamo la nostra personale esperienza, vera e diretta.

A nostra disposizione il grilletto: un blog che ha voglia di raccontarlo e ti permette di dirlo. Commenta!

Un esempio molto bello lo trovate in Albero Arcobaleno.

Ben vengano semplici descrizioni, link di post che già raccontano giochi semplici eppur complessi amati dai nostri figli. Sarà mia cura integrare questo post con i link che centrano il tema.

BANG!

[Fichi d'India, incipit di una storia di topolini, lungo la strada per il mare per distrarsi dal sole cocente]



Questo post partecipa al blogstorming.

domenica 4 ottobre 2009

Competenze di una tata


Quando devi comprare una macchina noti il modello che desideri dappertutto.
Quando ti trovi a gestire una questione sembra che tutti ne parlino. In questi giorni noto sui blog molte che parlano di tate.

Ultimamente con la storia degli orari impossibili e della logistica da inferno siamo con fatica arrivati alla conclusione che la soluzione a non correre sull'autostrada e farsi venire un infarto mentre cerchi di rispettare gli orari, sia assumere una tata full-time, una di quelle che sta in casa 24 ore su 24 e che, a meno che non hai una casa a metri quadrati infiniti, ti ritroverai sempre col fiato sul collo.

Ci siamo arrivati con pena perché dal mio punto di vista significa perdere grossa parte del controllo della nostra casa. Agli occhi di molti è un privilegio. Per me una violente intrusione della mia privacy. Sarà un privilegio nella misura in cui mi permetterà di non occuparmi delle faccende ma sapere che sarà lei a occuparsi dei miei bambini mentre mi massacro di lavoro non mi convince molto. I bambini passeranno tempo anche a scuola, questo è vero, ma sarà lei ad andarli a prendere, a parlargli, a consolarli quando sono tristi.

Le voci: "l'hai voluto tu". Stasera non ascolto le voci.

Piuttosto vi coinvolgo in un gioco-sondaggio e vi chiedo cosa fareste se foste nei miei panni qualora, provando una nuova "tata", vi trovaste nelle varie situazioni che descriverò. Vi chiedo di fare lo sforzo di essere lucidi e obiettivi. Lasciare o prendere?

1) Non cambia i pannolini. Sembra non sia capace. Con pazienza glielo insegni ma ogni volta devi spiegare tutto daccapo. Due o tre volte li ha messi al contrario. Quando può schiva il momento del cambio e fa in modo che MC o il doc si trovino nei paraggi al momento giusto.

2) Un pomeriggio le lasciamo i bambini qualche ora e invece di rientrare alle 4, ora della merenda, tardiamo di un'ora. Al rientro: "Hanno fatto merenda i bambini?" "No, non ancora". "Come non ancora! E perché?". "Bè, non mi hai lasciato detto cosa dovevo dare loro" (NB il doc ed io abbiamo un cellulare pro-capite). Una banana è così complicato?

3) C'è stato un momento in cui dare da mangiare a Picca era un'impresa. La lascio con la "tata" in questione, per pranzo e il caso vuole che non sia neanche sola in quel momento ma può contare su un amico di famiglia. Torno. "Ah, Picca è stata bravissima. Ha mangiato tutto". E mi elenca un bel pranzo. "Nessuna storia". "Be', mi fa piacere." Si sa che i bambini con le mamme danno il peggio di sé. La cosa importante è che ha mangiato. Mi muovo in un altra stanza e incrocio "l'amico di famiglia", simpatico e schietto che enuncia "Ah, Picca ha mangiato come un fulmine. La "tata" la teneva in braccio sulla poltrona davanti alla TV e io la imboccavo. Dovevi vedere, sembrava iptonizzata!" E te credo...

4) Lascio Picca un pomeriggio intero. Esco che faceva la nanna. Torno e la guardo muoversi un po' impacciata. Mi avvicino e noto il perché. La salopette era indossata al contrario con gli incroci delle bretelle davanti. "Scusa, ma non ti sei accorta che in quel modo tira in modo strano?". "Ah, no. Pensavo si mettesse così". Poi sento l'inequivocabile odore..."L'hai cambiata?". "Cambiarla? Perché dovevo cambiarla?". "Scusa ma non senti la puzza?". "Noooo. Non sento nulla...".

5) Torno dopo una settimana di assenza. Premessa: sono sempre abbastanza chiara sul fatto che non voglio che i bambini si abituino a mangiare per merenda i budini zuccherosi o formaggiosi confezionati. Apro il frigo e trovo un danette. "Chi ha comprato questo?". "L'ho comprato io", dice la "tata". "I bambini devono mangiare queste cose a merenda". "Sì, lo so." (lei sa sempre tutto). "E perché l'hai comprato dunque?". "Bè, è stato Leo a volerlo comprare...". Ma dài...Ci mancava il fruttolo ed eravamo apposto.

6) Preparazione dei pasti. Chiede sempre ai bambini cosa vogliono. E se una cosa preparata non la mangiano gliene prepara un'altra. Se una cosa piace, tipo il purè, la prepara a pranzo e a cena, per tre giorni consecutivi.

7) La "tata", quando possibile legge delle riviste. Titoli: Di più, Oggi, Gente...ok, libertà di stampa...

8) Libricino regalato a Picca: Storia di una ballerina. Narra di una bambina disperata di non avere i capelli abbastanza lunghi per acconciarli al suo debutto. Le sue amichette con i capelli giusti sono bionde. Lei ovviamente è mora.

9) Compleanno di Leo. Festina a casa con pochi amichetti e le loro mamme. Al momento dell'apertura dei regali, io mi trovo in un'altra stanza. Arrivo che Leo aveva già aperto la sua bicicletta. La "tata" lo aveva spinto a farlo senza preoccuparsi che io fossi presente. E una delle mamme le aveva anche suggerito che magari era il caso di chiamare la mamma per scattare una foto...
Stessa festa. Leo scarta un set da pasticciere (Leo ha una passione sconfinata per il mondo della cucina e affini) e la "tata" davanti a tutti commenta "ma questo non è un regalo per Leo. Questo è per Picca".

10) Vestizione. Nello specifico di Leo, quasi 4 anni, sottolineo 4. Lo trovo steso sul letto, come a un cambio pannolino (che non saprebbe fare) e lei che gli infila i pantaloni contorcendosi dal basso. Abbiamo presente il grado di deambulazione e di autonomia di un bambino di 4 anni, vero?

Lascio a voi di esprimere libero pensiero. Non siamo di fronte ai casi di addormentamento con gas o a bambini abbandonati in macchina ma...

sabato 26 settembre 2009

Una scheggia impazzita

Le mie giornate non sono mai semplici. Come immagino le giornate di tutte le persone che vivono, ma ci sono giorni che sembra che i dettagli prendano il sopravvento. Sei lì che ti dimeni tra decine di richieste e hai la sensazione di non poter dire NO, grazie, a nulla.

Ieri per esempio se un satellite avesse seguito la mia rotta, come sicuramente fa ogni giorno, avrebbe inviato un'informazione chiara al quartier generale: avvistata una scheggia impazzita.

In questo periodo di acclimatamento al nuovo lavoro, nuova azienda, nuovi colleghi e nuovi fornitori ho affinato un'organizzazione tale che mi permette durante la settimana di rimanere a Parma. Più o meno.
Il doc sta facendo in modo di essere lui "il genitore" della situazione: per l'inserimento a scuola, in caso di malattie, paturnie e capricci di Leo, Picca e la sottoscritta; c'è poi una nonna un po' imbranata, ma pur sempre una nonna, con un occhio di riguardo in più; poi la/le tate in avvicendamento laddove doc e nonna non arrivano. MC in questo periodo arriva ovunque meno che dai figli.

Ieri mi sono svegliata a Parma. Avrei dovuto passare la mattinata in azienda per poi andare a Milano nel primo pomeriggio. A Milano c'ero tra l'altro stata il giorno precedente. Dettagli di un'agenda, certo, ma fra un po' capirete dove vado a parare.

Arrivata in ufficio ricevo subito nota di cambiamenti di programma. Bazzecole.
Sbrigo varie ed eventuali e mi salta addosso un dettaglio inatteso. Pinzillacchere.
Il dettaglio inatteso richiede che io vada a Milano, all'istante. Quisquilie.
Chiamo l'autonoleggio: macchine non disponibili. Scava e scava e ne trovano una. Collega in sottofondo mi allerta di identificarmi con i titoli o mi assegneranno una macchina trattore. "Solito esagerato. Ora per una macchina ci vuole Picone…"

Arrivo alle chiavi: Fiat Qubo. Mi viene in mente un'operazione di lancio della Fiat in cui la finalista del concorso ha vinto grazie ad imprese mirabolanti.



Affronto l'autostrada e torna l'eco del mio collega. Prossima volta "Mi manda Picone" o arrivo dopodomani.

A Milano un traffico arrabbiato, il solito cielo anemico, missione parcheggio oltre l'impossibile. Sono in ritardo. Chiusa la prima tappa segue la seconda, dall'altra parte della città. E' la settimana della moda e se prendo un taxi rischio di passare il tempo in coda, con il naso spiaccicato sul finestrino a guardare i foto-modelli che passano. Sono figlia di genitori "alza il culo, mettilo sui mezzi pubblici e fai ciao ciao alle macchine ferme al semaforo". Lascio quindi la macchina in un silos e, in metro, arrivo dove già previsto. Mi batte un po' il cuore perché mi aspettano dei luoghi che mi hanno sempre affascinato: i quartieri post-moderni riabilitati a grandi templi della comunicazione. Dopo una riunione proficua con un collega in gamba, mi aspetta un'immersione (dicesi induction) nella storia della comunicazione della Barilla.



Flashback. Nonna Cattiva quando ha saputo che avrei lavorato in Barilla mi ha ricordato che, da adolescente, al passaggio di questo spot rimanevo letteralmente paralizzata.

NC non sapeva che in quel periodo ero cotta di un uomo di Parma, conosciuto in Francia, molto più grande di me ed evidentemente il mio aspirational desiderava il suo ritorno in Mercedes, nel casale in campagna, io organizzatrice di feste stilose e lui un pacco di spaghetti tra i denti. Con il senno di poi la lettura di questo ricordo potrebbe farsi articolata. Non è detto che non gli dedichi un post.

Sono le 18:30. Alle 19:00 devo essere da un'altra parte. Questa volta per un'occasione di crescita mentale. Mi piace vedere così una presentazione del guru BJ Fogg [correggo Fox in Fogg - il correttore automatico aveva sostituito una nebbia con doppia g in una volpe] sulla capacità persuasiva della rete. La sua idea è che grazie alle nuove tecnologie si possa realizzare la pace. La strategia dei piccoli passi. Grandi cose che si realizzano da piccoli dettagli. Piglia e porta a casa.

All'uscita mi svincolo da impegni professionali. Basta lavoro. Da un'altra parte mi aspetta una mia cara amica che non vedo da tempo e a cui posso raccontare i pensieri di questi giorni, senza sorrisi, grinta e auto-controllo. A lei che, come il doc, fa un lavoro così concreto e comprensibile. Devo recuperare la macchina nel silos. Ci posso arrivare a piedi ma è in zona stazione. E' buio e sono stanca. Sono realista. Saranno pure tutti in giro per modelle ma i malati di mente non stanno a guardare la mini-gonna.

Un angelo custode sconosciuto si offre di accompagnarmi a piedi. Potrebbe essere lui il maniaco. Sono troppo stanca. Mi fido. Non ci mettiamo pochissimo. Non riusciamo neanche a trovare l'ingresso pedonale del parcheggio. Sono le 22.
"Ciao. Piacere. Ci vediamo su FB". Come sono cambiate le modalità di relazione. Conosci una persona e il giorno dopo te lo trovi su Facebook. Cambi lavoro e il giorno dopo trovi dieci richieste di contatto su Linkedin.

Salgo la rampa del silos. A quell'ora l'Anapurna. Vado alla cassa. Un viso orientale mi comunica che accettano solo contanti. Ho solo 5 euro in tasca. In un parcheggio moderno con biglietti elettronici e tariffe stellari cosa vi manca per prevedere un bancomat? Riscendo la rampa alla ricerca di un distributore di soldi. Non sono mai fuori la porta. Sono così incazzata che se arriva il maniaco mi trasformo in Kill Bill.

Finalmente salgo in macchina e arrivo a casa della mia amica. Mi sento a casa. C'è anche la sua mamma in visita che ci ha preparato quelle che in quel momento sono per me le cose più calde e buone del mondo. Dovrei sentirmi mortificata per questi orari ma agli amici non devi mai spiegare nulla.

The end. Della giornata.

Sequel. Stamattina ho un aereo per gli Stati Uniti. Nel week-end passo a trovare mia sorella che non vedo da febbraio e i miei nipoti e mio cognato che non vedo da due anni. Lunedì invece sono a New York per lavoro. Torno giovedì mattina. Cool! Figo! Non c'è dubbio. Raccontiamo però anche quello che comporta questo sbattimento. Primo fra tutti quelle vocette bastarde, come direbbe Piattini, e quegli sguardi di biasimo come ha notato Silvietta, per tutto il tempo che sto togliendo ai miei bambini. Non sono così sicura di farcela.

Adesso vi chiedo un piccolo piacere. Toglietevi dalla testa questa falsa percezione di MC come donna cazzuta.
No, perché ultimamente sembra che vada per la maggiore.
Sarà il blog, l'uscita dalla rotonda, l'intervista geek ma io lo dico e lo ripeto: non sono affatto cazzuta. Spesso tra un tragitto e l'altro piango a dirotto, urlo forte, fortissimo che sono una pazza, litigo con il doc supplicandolo di salvarmi, di fare di me una persona semplice, senza pretese, ambizioni e interessi.
Mi risponde che non sa come fare. Salva bambini che nascono tre mesi in anticipo ma non trova il modo per fare di me una persona semplice.

sabato 19 settembre 2009

Pomeriggio in 3D


Non me ne voglia Mamma in 3D a cui prendo in prestito il nome della sua quarta dimensione, ma oggi è stato un pomeriggio speciale ed è la migliore definizione che lo coglie. Uno di quelli in cui ti butti dietro le spalle una settimana sconquassante, in cui ti chiedi un'ora sì e due no e poi di nuovo due sì e una no, chi te l'ha fatto fare di complicarti così la vita.

Il rumore di sottofondo più insistente è stato: "ma siamo sicuri che tutto questo lo stai facendo per te o per come ti vorrebbero gli altri?".

Nel pomeriggio il doc e MC hanno deciso di dedicarsi a Leo. Ogni tanto bisogna concedere un momento esclusivo a uno dei due, ricordandosi però di pareggiare i conti. Si ha il bisogno di ritagliarsi un tempo di eccezioni, come se fosse il tuo compleanno ma non lo è, come se fossi figlio unico ma non lo sei, come se potessi avere tutto ma non lo hai.

E tanto per ribadire con quanta poca fretta scopriamo cose nuove, abbiamo portato per la prima volta Leo al cinema. Leo non ha ancora compiuto 4 anni. Ci è stato una volta con la scuola ma con noi mai.

Sull'onda di una visione recente dell'Era Glaciale, numero uno e numero due, in DVD a casa, siamo andati sicuri sul nuovo sequel L'era Glaciale 3, l'alba dei dinosauri, in programmazione in questi giorni nelle sale. E giusto per non negarci un pomeriggio di effetti speciali abbiamo visto quello in 3D.

Ore 17:30 : ci siamo approvvigionati di abbondante pop-corn. Leo non riusciva a crederci, non faceva che ripetermi "Davve(r)o? Davve(r)o, MC, comp(r)iamo i cock co(r)n?". Abbiamo inforcato gli occhiali speciali e ci siamo letteralmente immersi nella visione spettacolare. L'ultimo film in 3D che ho visto credo risalga agli anni '80. Lo squalo? Possibile? Non sapevo più dove guardare: il doc, Leo o Scrat con la sua immancabile ghianda. Colpa forse la stanchezza ma ci sono stati momenti in cui ero così felice che mi sarei messa a piangere. Per non farlo ingoiavo "Cock corn".

E Picca? A due anni non avrebbe retto e così prima di uscire le abbiamo detto: "Ehi, Picca, ti lasciamo uno spritz e due patatine e noi ce ne andiamo al cinema...Picca è rimasta a casa con la nonna (la suocera) che in questi giorni è da noi per darci una mano. Per darci una mano ho aumentato le ore della tata...

Ore 17:15, prima di uscire quel meraviglioso odorino mi ha suggerito un cambio di pannolino. "Non ti preoccupare, MC, la cambio io", mi dice la nonna-suocera.

Ore 19:45 circa, chiamiamo casa. Ci chiediamo come la piccoletta abbia accolto l'abbandono. "Ah, tutto bene...". Bene! "Solo che non l'ho ancora cambiata"..."Come non l'hai ancora cambiata?", blatera il doc che già visualizza un culetto da bertuccia.
"Non ha voluto farsi cambiare".

Ecco, se, a due anni appena compiuti, Picca riesce a decidere lei di non cambiarsi probabilmente sarebbe stata in grado di venire al cinema.

Parlano di questo film anche:
Blogmamma.

Il blog di Ci_polla
Digita l'Orma

venerdì 11 settembre 2009

Mamme 2.0: parliamone.

Se aspetto di dirlo meglio non lo dico più. Come promesso scrivo la mia opinione nel Blog Cafè di Flavia.

Lascio questo post non commentabile perché vorrei che lo faceste di là.

martedì 8 settembre 2009

Shabby Geek

In questi giorni mi sta venendo il dubbio che non riuscirò a scrivere sul mio blog quanto vorrei ma evito di soffermarmi su questo pensiero. Lo farò, beno o male, ma lo farò.

Ho condiviso su questo blog il percorso dei mei cambiamenti e oggi voglio condividere con voi dove sono e cosa faccio.

L'occasione me la danno delle "ragazze" ad alto tasso tecnologico che stimo e che seguo con attenzione. Un giorno una di loro, Daniela Pavan, mi contatta per chiedermi un'intervista. "A me? Ma se proprio sicura?".

Ieri l'intervista è stata pubblicata su Girl Geek Dinners Italia.

Non amo le etichette, i cappelli sotto i quali limitiamo le nostre possibilità di esplorazione. Da giorni sto cercando il tempo per spiegarlo con lucidità e accuratezza (caratteristiche che normalmente spendo quando ne vale la pena) nel Blog Café di Vere Mamme. E lo farò. Trovo il tempo e lo faccio.

Mi fa piacere che le GGD mi abbiano percepito come una di loro e, forse, un po' geek nell'animo mi sento ma, forse, la definizione giusta sarebbe "shabby" geek:
una geek un po' trasandata, che trova nella tecnologia un supporto a tutti i propri casini. E non mi sento neanche tanto "girl", io che nelle mie conversazioni sorvolo sempre sui cliché di genere.

Tutto questo vedrò di approfondirlo da Flavia.

Nel frattempo sentitevi liberi di conoscermi un po' di più qui.

giovedì 3 settembre 2009

Non deve essere solo merito nostro

Quest'anno la mia Picca è riuscita a entrare in un nido comunale. Dietro però c'è un trucchetto. Normalmente, infatti, risultiamo essere cinquantesimi in lista d'attesa... e siamo a Bologna. Questo succede sicuramente nelle sezioni dei piccoli e dei medi. Per i solo duenni (sezione grandi), invece, dalle mie parti, c'è una struttura che le addette dell'ufficio scuola mi definirono "un salottino per prendere il tè: un posto delizioso con brave educatrici e che vanta anche un'attenzione e dei programmi di pregio". Sembrava ci fosse la fregatura tanto lo esaltassero. Il difetto sembrava essere l'orario: 7:30-13:30, pranzo incluso. Dopo sono cazzi tuoi: mamma a casa (se non lavora o lavora part-time), papà a casa (se non lavora o lavora part-time), nonni oppure tata.

A Bologna c'è la regola - solo per il nido, non per la materna - che se sottoscrivi un elenco di strutture e loro te ne assegnano una, non puoi dire: "No, questa non la voglio più, aspetto la prossima". Funziona: "Prendere o lasciare, lasciare il nido comunale".
Per questo motivo pochissime famiglie mettono nel loro elenco questo nido. Perché la maggior parte delle famiglie, evidentemente, ha bisogno del supporto anche di pomeriggio. Non me la spiego diversamente. Salvo il fatto che poi, l'anno successivo alla materna, il pomeriggio ci sono pochissimi bambini. Qualcuno mi aiuti a capire.

Le circostanze vogliono che sebbene lavori a tempo pieno, io abbia sempre vissuto i miei figli a due anni come incapaci di sostenere il tempo pieno al nido. L'ho sempre vissuta male. Colpa mia.
E così segnato nell'elenco quel nido, sia Leo che Picca, al compimento dei due anni, sono stati presi.

Oggi c'è stata la riunione dei genitori per presentare il nido, le educatrici, le ausiliarie, i genitori. Da comunicazione, la data di inserimento prevista per Picca era il 12 ottobre. L'inserimento prevede un ingresso graduale con la presenza del genitore (quasi sempre la mamma), per le prime due settimane. La riunione oggi era alle 14:30.
Se mi fossi soffermata su questi elementi, data di ingresso, durata e metodo di inserimento e orario dell'assemblea, avrei dovuto buttare alle ortiche la nuova opportunità di lavoro.

Qui entra in scena il doc. Se nella mia vita non ci fosse il doc che mi ha detto: "vado io alla riunione e convinco le maestre ad anticipare la data di inserimento" e soprattutto "quest'anno prendo io dei permessi e faccio io l'inserimento di Picca", mi sarei trovata in seri problemi. In generale se nella mia vita non ci fosse lui, non potrei essere qui a dichiarare che i cambiamenti sono nelle nostre mani.

Il doc ha portato a casa un bel 22 settembre.

martedì 1 settembre 2009

Il primo giorno di ogni cosa

Con estrema semplicità posso gridare che la mia prima e vera passione è viaggiare. Ma oggi non voglio scrivere di questa passione. Oggi voglio parlare di un nocciolo granitico che l'esperienza del viaggiare mi ha donato tanti, tantissimi anni fa e che mi porterò dietro in ogni esperienza di cambiamento e di migrazione.

Mia madre ha iniziato a lavorare con mio padre quando avevo 7 anni. Un lavoro che si concentrava per lo più nel periodo estivo e che ha portato i miei genitori a organizzare parte delle mie vacanze senza la loro presenza (determinismo familiare?) : prima la colonia gestita dalle suore, poi quella del comune, poi le vacanze studio all'estero, a volta anche per due mesi consecutivi, da minorenne. Poi finalmente le mie vacanze con lo zaino in spalla, da maggiorenne.

Quello che ricordo con estrema lucidità è quella sensazione di smarrimento e scoramento del primo giorno nel luogo in cui arrivavo: nella grande camerata di sole femmine con il crocefisso in vista; nel grande refettorio con le brocche d'acqua allineate; nella stanzetta della famiglia inglese/francese che mi ospitava per una manciata di spiccioli; nella canadese con i picchetti storti del campeggio di turno.

Tristezza? Macché. Io ero contentissima di quell'autonomia. Preparavo meticolosamente la lista delle cose da mettere nella mia valigia e arrivata nel posto nuovo ordinavo le mie cose con metodo. Mi sentivo grande, anzi adulta, indipendente.

Non il primo giorno però. Il primo giorno volevo prendere e tornarmene a casa. Non trovavo la strada per andare al bagno. Non capivo cosa dovessi chiedere da mangiare. Dovevo conoscere persone nuove. Nessuno capiva cosa avevo da dire.

Poi però sperimentavo più o meno uno stesso percorso. Iniziavo a dormirci sopra. Osservavo le regole del luogo e le facevo funzionare su di me. Guadagnavo sempre più la sensazione di familiarità. Tempo una settimana e mi sentivo padrona delle situazioni, delle conversazioni e soprattutto in confidenza con le persone. Smarrimento che mutava in confidenza.

Non ho mai perso questa consapevolezza, che una situazione di disagio e di inadeguatezza potesse trasformarsi con il tempo in un'esperienza familiare.

Oggi è stato il primo giorno di lavoro. Quelle sensazioni di languore, nausea, disorientamento mi hanno aggredita con più forza del solito. Volevo chiudermi in un bagno (dove cazzo sono i bagni in questo labirinto?) e piangere. Volevo io per una volta rifugiarmi tra le braccia dei miei bambini.

Mi sono aggrappata al nocciolo. Mi sono detta: "E' come sempre, domani questi nomi diventeranno noti e ritroverai la sicurezza delle abitudini".

Adesso vado a finire la mia birra.

sabato 29 agosto 2009

Bagni di realtà



L’espressione “ci vuole un bagno di realtà”, intercalata a osservazioni generali su situazioni puntuali e contingenti, mi è sempre molto piaciuta. Richiama a un sano senso di realismo di fronte all’inevitabilità delle cose. Suggerisce di mettere da parte il sentimento comune e di descrivere le situazioni per quelle che sono. Pane al pane e vino al vino. Poco spazio al sentimentalismo.

Sono praticamente all’epilogo delle mie vacanze estive. Ho superato la parte della sabbia, dei bagni al mare, del ferragosto e ora sono immersa nella parte in compagnia dei nonni, i miei genitori, in campagna, un luogo che non mi desta particolari ricordi d’infanzia, perché è arrivato che eravamo già tutti grandi, autonomi e in giro per il mondo. Il doc è tornato a lavorare. Io ci tornerò a breve. Alé!

Il bilancio vacanziero è indubbiamente negativo. E mi spiace dichiararlo a tutti quelli che mi dicono che non devo lamentarmi, che sono pur sempre in vacanza, che c’è la salute, che mi posso godere il doc, i bambini, il tempo libero, la bella stagione. Per tutti questi vorrei attivare il rumore di una bella risata stridula.

Mi sono messa in ascolto di me stessa e di quelli che mi vivono intorno e il frastuono sovrasta sempre il silenzio, quello che mi darebbe un po’ di riposo, di recupero di forze fisiche e mentali. Ero stanca prima, sono ancora più stanca ora e non oso pensare a quello che mi aspetta dopo.

Ho aguzzato le orecchie e ne sono usciti momenti di ascolto più o meno intensi. Spesso rumori, talvolta richiami. Molti ultrasuoni. Poca musica.

Voglio proporveli in una o più righe, in ordine sparso, per come li ho vissuti e appuntati nella mente.

RUMORI COMMERCIALI – Impossibile schivare il bombardamento di proposte di acquisto sulle strade percorse: menu per bambini (cotoletta e patatine fritte, alla faccia della buona salute) gonfiati di gadget inutili, riviste assemblate a prezzi stracciati perché l’editoria non vende, distributori automatici di oggetti insulsi, anche la buona idea di vendere libri cede il passo a titoli di bassa lega. Alle casse degli Autogrill ho detto “No, grazie” a borracce termiche della Coca-Cola (io voglio solo la Coca), a un astuccio rosa fucsia delle Winx (odio le Winx e Picca ancora le ignora), al telo da mare dell’uomo ragno (ne ho cinque di teli), ai Pocket Coffee genialmente proposti nel frigo gelati in questa torrida estate. Ho però ceduto, nel viaggio in nave, a un aquilone della Tirrenia, gelato orrendo incluso che il mio Leo neanche ha finito. Ho detto “No, grazie” ai Vu’ Cumprà, non tanto perché il mio occhio e portafoglio non cedano mai alle loro proposte, quanto perché ogni volta che torno a casa la serie di collane, tuniche e tappetini non riesce a impossessarsi di una vita propria e sembra gridare un rientro a destinazione, come se tutto facesse a cazzotti con l’ambiente urbano e falsamente etnico. Dicasi lo stesso per i falsi d’autore di cui non ho mai capito la logica. Il brand sarà pure rassicurante ma se è falso che sicurezza è?

RUMORI DELLA SPIAGGIA"È una gioia da gustare come l’aria il cielo e il mare"; "Cocco fresco a pezzettini per la gioia dei bambini"; "Non è certo un tipo sciocco chi divora questo cocco"; Il cocco non è un vezzo il buon gusto non ha prezzo; "Rendi il giorno meno amaro con il cocco di Gennaro".
Mamma Felice nel leggere il mio twittering estivo mi ha rilanciato una bella rima delle sue. Il mio cinguettare invece faceva il verso al mitico Gennaro, il venditore di cocco la cui licenza poetica dava filo da torcere alle mie canzonette per Picca, la quale quest’estate mi ha eletta suo Juke-box preferito. In spiaggia il vero rumore ero io, l’unica a chiedere ai miei figli di non tirare la sabbia, di non mangiarla, di non raccogliere i mozziconi di sigarette, di non mangiarli. Ma perché i fumatori a cui io non chiedo mai di smettere di fumare non rispettano il mio spazio e l’ambiente e usano uno dei loro pacchetti vuoti per buttare le loro cicche?

PIANTI, LACRIME E CAPRICCI – L’abbinata quasi-due e quasi-quattro batte 6 a 2 i “terrible twos” che mi aspettavo solo dalla più piccola. Leo e Picca hanno dato il meglio di loro, mettendo a dura prova la mia capacita di ascolto e la mia nota mancanza di pazienza. Stevenson nel descrivere le metamorfosi del dottor Jekyll nel signor Hyde deve essersi ispirato ai mutamenti repentini e inspiegabili nel comportamento dei bambini:
“Il bambino, prima dell’uomo, non è veracemente uno, ma veracemente due.”

RUMORI DEL VICINATO – Nella casa accanto alla nostra abitavano delle famiglie toscane. Ad eccezione di un bimbo non ancora deambulante, c’erano solo delle bimbe a occhio e croce di circa otto anni, dunque poco interessate a socializzare con i miei quasi-due + quasi-quattro. Nonostante questa evidente e comprensibile scelta di non socializzazione delle vicine, i miei bimbi si incollavano in modo imbarazzante alla staccionata. Le chiamavano, le cercavano, sbavavano sul loro giocare a nascondino. Ho vissuto la sindrome della piccola fiammiferaia, i miei bimbi affamati con il naso spiaccicato sulla vetrina del pasticcere, e ho deciso che le prossime vacanze si faranno in compagnia. Amici, uniamo le forze e liberiamoci dei mostri.

PAROLE DI BIMBI - Leo ci ha stordito di chiacchiere simpatiche. Picca gli andava dietro proponendo le sue prime parole. “Allo(r)a…”quando apre un libricino di storie. “Cos’è?” quando lo sfoglia. “Pesse” per definire qualsiasi forma animale acquatica e non.
“MC, co(rr)i, è pieno di pasculdi”, questo Leo dal giardino. Ora, avete la più pallida idea di cosa sia un PASCULDO? Ero gia pronta con insetticidi, disinfettante e ciabatta in mano quando ho capito che in quella testolina fervida di immaginazione, dicesi Pasculdo… l’irrigatore da giardino. Un nome talmente perfetto che d’ora in avanti tutti gli irrigatori avranno questo nome. Ricordarsi di inserirlo in Wikipedia.

RICHIAMI DALLA BLOGOSFERA – Complice l’Iphone non sono riuscita a staccarmi completamente dalla lettura dei blog, in particolare quelli mammeschi. Devo dire che in alcune circostanze mi sono divertita ma, onestamente, quella due-giorni di commenti un po’ trolleschi nel blog di Wonder in merito alla arci-condita diatriba Estevill sì/Estevill no, mi hanno definitivamente convinta che in certi casi meglio darsela a gambe selvaggiamente e tuffarsi nelle vecchie e tradizionali amate pagine di carta. In effetti non mi sto perdonando questo tempo tolto alla lettura in attesa sul comodino.

Il bagno di realtà me lo sono fatto acre e salato nella percezione che quell’infermiera che, nato Leo mi disse: “Ecco, d’ora in avanti la tua vita non sarà più quella di prima” aveva terribilmente ragione. Altri prima me l’avevano detto ma, nella mia memoria, la vera consapevolezza è attecchita da quel momento e si rafforza giorno dopo giorno.

martedì 25 agosto 2009

L'innominabile

Un giorno, alla stazione di Parma, in attesa di un treno per tornare a casa, quando mi trovavo nel pieno della selezione per il nuovo lavoro, mi sono rifugiata in una libreria. Entro spesso nelle librerie, soprattutto quando sono in ansia e difficilmente esco senza comprare. Probabilmente mi sentivo un po' come in questi giorni: immersa nella CACCA.

Sì, a scanso di equivoci confermo di aver scritto CACCA, la giusta via di mezzo tra i vari termini in circolazione per definirla. E a me le giuste vie di mezzo mi soddisfano sempre.

Quel giorno comprai un paio di libri, uno dei quali si intitola:

More about La cacca
La cacca. Storia naturale dell'Innominabile, scritto da Nicola Davies e illustrato da Neal Layton.

È un libro per bambini e mi incuriosiva vedere come l’avrebbero presa i miei, doc compreso.

Come mamma, ci tengo a precisare che non mi interessa come le altre mamme decidono di chiamarla con i loro figli. Sono indifferentemente frequentatrice di amiche mamme che la chiamano pupù, popò, cacchina, bisognino…anche se ho sempre deciso che a casa nostra l’avremmo chiamata CACCA.

Proseguo la precisazione, però, aggiungendo che non mi sento a mio agio con le persone che hanno una fretta incommensurabile di togliere il pannolino ai propri bambini. Nella mia esperienza le persone che più insistono su questo traguardo sono quelle della generazione di mia madre. Nonna Cattiva non smette mai di provarci a chiedermi quando Picca (quasi due anni) inizierà a fare cacca e pipì nel vasino. E ogni volta inizia la solfa dei suoi tempi, quando si spannolava intorno ai 12 mesi, quando io sotto l’anno facevo cacca/pipì a comando. A me non interessano i miei prodigi e faccio anche fatica a crederci...

Credo molto più agevolmente alla mia esperienza di oggi e al tipo di comunicazione che cresce tra me e i mie bambini oggi. Leo ed io abbiamo potuto parlare serenamente di vasino e il resto intorno ai 30 mesi per riuscirci al mare ai 32 e mi porrò la questione con Picca con lo stesso approccio senza forzature.

Credo molto più agevolmente all’opinione del doc e di molti suoi colleghi che scoraggiano le mamme ad anticipare i tempi perché i figli di quelle generazioni soffrono spesso di stitichezza o tendono a non avere un buon rapporto con il proprio corpo nei momenti dell’evacuazione.

In generale credo molto più agevolmente alla non fretta su questo risultato. Sottolineo, quando poi ci si riesce è GRANDIOSO, è AUTONOMIA, è RISPARMIO. È estremamente soddisfacente osservare tuo figlio che si alza da un gioco, senza neanche guardarti e tu gli chiedi “Dove vai?” e lui “MC, vado a fare la CACCA”.

Il libro, inutile dirlo, un successone. Superato il primo giorno di “imbarazzo” in cui Leo urlava “MI RACCONTI LA STORIA DELLA CACCA? E dietro Picca “Sììììì, CACCA, CACCA, CACCA…
Abbiamo scoperto nomi di animali che chissà se vedremo mai dal vivo e soprattutto la storia, la forma, la consistenza della loro cacca. :)

Domani mi assento un paio di giorni e ho chiesto al bimbo parlante se vuole qualcosa dalla casa di Bologna. Mi ha chiesto il libro della cacca e del camaleonte. Di questo vi parlo in un altro post.

In questo periodo il tema del mese di Genitori Crescono è lo Spannolinamento. Mi sono salvata la storia dello gnomo del vasino (a proposito di comunicazione) di Serena.
Silvia invece cita proprio questo libro nell’ultimo post.
Sintonia sulla cacca, niente male!


Questo post partecipa al blogstorming.

domenica 23 agosto 2009

Il punto della situazione



Il punto è che non voglio determinare, urlare al mondo, chiarire che sono una mamma cattiva. Il punto è che io non ci riesco. Punto e basta.

Ho le risposte per tutto. Leggo, imparo, ascolto tutto. Quello che mi piace e quello che non mi piace.

Se devo dare il mio parere, se mi chiedono un consiglio ho sempre una buona risposta. Le parole giuste, il tono giusto. Mantengo la calma, razionalizzo, seziono gli aspetti di un problema e do la soluzione.

Ogni mattina mi sveglio e mi riprometto di cominciare daccapo. Voglio essere coerente con tanta saggezza e sapienza ma fallisco dopo appena dieci secondi.

Anche questo blog è solo “Chiacchiere e distintivo”.

giovedì 20 agosto 2009

The Honest Scrap Award...


Prima di pubblicare un post post-vacanze che mi annoia e convince poco, forse perché le mie vacanze non sono ancora terminate e si stanno rivelando noiose e poco convincenti, e trovandomi di nuovo davanti a un portatile (quello con tastiera americana di Nonna Cattiva), ho deciso di concedermi il primo meme da quando ho aperto questo blog.

Stefania di Albero Arcobaleno mi ha consegnato un Honest Scrap Award e volentieri partecipo, se non altro per citarla e dire pubblicamente quanto mi piace il suo blog.
È un blog sopraffine perché con creatività e spirito pragmatico riesce a far convergere pensieri ed azioni. Per me, che mi perdo sempre in riflessioni e cerco risposte in fatti, queste sono doti rare e preziose.

Condizioni di questo premio sono: raccontate ai vostri lettori 10 cose che si sappiano o meno di voi ma che sono vere. Indicate dieci persone che hanno diritto al premio e siate sicuri di far loro sapere che sono stati contrassegnati (un breve commento sul loro blog andrà bene). Non dimenticate di collegarvi di nuovo al blogger che vi ha premiato.

Ecco il mio turno e voglio farlo a modo mio, raccontando dieci ragioni spicciole e immediate per cui molte voci in giro bisbigliano che io sia una Mamma Cattiva.

Sarò semi-seria ma probabilmente dietro ad ogni punto potrebbe esserci lo spazio per un post. Se qualcuno volesse approfondire si faccia avanti e accoglierò volentieri l’interesse per tanta malvagità.

Here we go…

1) La dote della pazienza non appartiene a MC e fare la mamma senza pazienza è un ossimoro.

2) MC pensa che i bambini nascono piccoli ma poi devono diventare grandi e autonomi. Per questo il suo primo obiettivo di mamma è accompagnarli per mano…fuori di casa (e magari in giro per il mondo).

3) MC ama il cibo e i sapori veri. A quei poveretti dei suoi figli viene spesso impedito il consumo di molti cibi e bevande confezionati, cioccolato, fritti e affini; vietato aggiungere zucchero o miele nello yogurt bianco o nei cereali; niente biscotti Plasmon nel latte. E tanto altro ancora.

4) Per MC il sonno dei bambini è sacro prima per lei che per loro. Dopo aver letto pressoché tutti i manuali circolanti in merito, ha confermato di saper già tutto oltre i manuali: trascorsi i primi tre mesi in cui si vive in apnea, ha attivato una serie di rituali da fattucchiera e ha costretto i suoi figli a dormire il pomeriggio e la notte nel loro letto. Considerato il punto 1) l’impresa è stata titanica.

5) Se chiedi a MC quanto sono alti e quanto pesano i suoi bambini, a meno che non sia il giorno successivo alla visita pediatrica, lo ignora. Se poi le chiedi qualcosa sui percentili sicuramente ti risponde male, anche perché ancora non ha ben capito come funzionino (e il doc alza gli occhi al cielo).

6) MC non porta i suoi bambini a tutte le feste comandate dei compagni di asilo e dintorni, soprattutto a quelle di giovedì alle ore 16:00. Spesso le mamme degli asili, quando la incontrano, si presentano ogni volta oppure, se la salutano, le dicono “Non ti vediamo mai?! Ci siamo mai viste?”.

7) Durante lo svezzamento, prima che MC ricominciasse a lavorare, Picca per quindici giorni consecutivi non ne ha voluto sapere di assaggiare la pappa. Una mamma buona avrebbe proposto il solito. MC l’ha messa ogni volta a letto a digiuno. Picca ogni volta si svegliava come nulla fosse. Merenda e la sera latte. Il sedicesimo giorno è arrivata la tata, le ha preparato la pappa e Picca l’ha mangiata tutta. MC ha pianto molto.

8) A casa di MC arrivano molti giochi da parenti e amici. MC impedisce l’ingresso di armi, di giochi senza marchio CE, di doppioni, di Gormiti e Winx e di tutti quelli che, dopo una settimana di frastuono, turbano la psiche di MC e del vicinato. Ebay e il Gozzadini (solo nel caso di doppioni) aiutano il compito.

9) MC talvolta urla. Vedi punto 1) In quei casi bisognerebbe venderla su Ebay, in quanto gioco rumoroso.

10) MC preferisce premiare i suoi bimbi non tanto quando fanno una cosa fatta bene ma piuttosto quando affrontano con coraggio una difficoltà: una puntura, una caduta, un’esperienza in ospedale, una malinconia improvvisa. Preferisce …

A mia volta consegno il premio a:
Silvietta per Qualcosa sta cambiando
Marlene per Tra Rock e Ninna Nanne
Vivapochaontas
Vorrei ma non posso
Mamma in 3D
Renata per Due Minuti o Tre
Patrizia per Extra-Mamma
World Wide Mom
Leggi.my
MammYX di Non ho Valentina

[Sentitevi libere di partecipare al gioco]

venerdì 31 luglio 2009

Il tango degli addii

Avete letto bene: il "tango" e volutamente non il più noto "valzer", nonostante sia una profonda stimatrice di Kundera e abbia malinconicamente assorbito molti suoi scritti in età adolescenziale.

Scavi, scavi e i perché di una mamma cattiva emergono prepotentemente.

Dicevo un tango più emozionante e vibrante che ho ballato oggi, si fa per dire, nell'ultimo giorno di lavoro. Ricordate le mie dimissioni?

Ho visto arrivare questa giornata da lontano, da quando mi ero messa in testa di attuare un cambiamento, da quando poi qualcosa è successo, da quando, finita la scuola materna a fine giugno, ho trasferito Leo al nido di Picca, nel caldo asfissiante della città, con i richiami intorno di tanti coloro che riescono a portare i figli in vacanza molto prima.

Che poi venga rassicurata o meno da altri messi come me, da voi o da me stessa, è stato faticoso portarli in un luogo urbano e monotono. E' stato penoso tornare a casa e trovare il mio Leo parlante che mi implorava di preparare la valigia e dietro sua sorella a fare l'eco delle ultime sillabe: "igia", "igia".

Dopo due, tre giorni che lo faceva mi sono attrezzata. Ho stampato un calendario di luglio e gli ho proposto il gioco delle crocette. Ogni sera avremmo cancellato i giorni mancanti. Abbiamo disegnato il giorno della valigia e il giorno ultimo con la nave. I sabati e le domeniche erano rossi e niente scuola. L'ordine da seguire era come quello dei vagoni di un treno. Me la sono cavata con poco. Ogni sera sembrava l'impegno di andare a votare e se mai capitava di dimenticarlo, me lo ritrovavo alla porta: "MC, la c"r"ocetta, non abbiamo messo la C"R"OCETTA!"

Vi ci ho portati da lontano ma oggi ci siamo. Le crocette scarabocchio sono state diligentemente smarcate e domattina sul calendario dell'avvento estivo rimarrà il disegnetto della nave che ci porterà al mare.

Ma oggi, narravo, è stato anche l'ultimo giorno di lavoro a chiusura di un'esperienza intensa e determinante di undici lunghi anni. Ho scritto qualche email per salutare, dei messaggi più personali ad alcune persone chiave, mi sono fermata nei corridoi a parlare, sempre con l'ansia di correre e finire chissà, oramai, quale compito e all'ora di pranzo il rito del brindisi. Chiamare le persone non è stato semplice perché in undici anni conosci praticamente quasi tutti e ci sono anche quelli nuovi che conosci da poco ma con cui hai già iniziato un percorso. Ho chiamato alla fine tutti. Ho pensato: "se ne hanno voglia passeranno, se potranno passeranno, che sia quel che sia".
Undici anni si sentono tutti e con incredibile sorpresa sono venuti in tanti.

Tanti mi hanno mandato degli auguri, dei messaggi di stima e non ho resistito, li ho copiati e incollati tutti insieme e li ho infilati in una Wordle, una nuvola di parole.

Dicasi "Wordle" una nuvoletta di parole chiave ricorrenti che, in funzione della loro frequenza in un testo, si mostrano invisibili, piccole piccole, grandi, enormi e ti suggeriscono il peso di quelle parole, la loro importanza.

Strano ma una "tag cloud" ha un discreto potere evocativo.



[Wordle costruito con many eyes beta for shared visualization and discovery]

A questo punto non mi resta che salutarvi per un po'. Sono attrezzata per leggervi quindi non sparisco nel nulla ma, sicuramente, c'è "always on" e "always on".

Chiudo con un rimando alla poesia Lentamente muore (attribuita erroneamente a Pablo Neruda e che invece appartiene a una scrittrice brasiliana degli anni '60 Martha Medeiros), dedicatami dal mio gruppo di lavoro più stretto, quello con cui ho condiviso gioie e dolori. Loro non sanno che tra le varie poche cose portate via c'è proprio una vecchia stampata della stessa che tenevo nel cassetto. Evidentemente ci hanno visto lungo.

Grazie ragazzi. Sono i contenuti e la sostanza quello che volevate passarmi.

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

[Martha Medeiros]

martedì 28 luglio 2009

I colori delle bici

Seguo a ruota il post precedente per narrare una spontanea conversazione tra MC e Leo.

Le conversazioni con i bambini a volte mi riconciliano con il mestiere di mamma, anche se cattiva.

"Mamma Cattiva?"


"Dimmi, Leo".


"Mamma, io adesso comp(r)o una bici per Picca. Comp(r)o una bici (r)osa."


"Davvero?"

"Davve(r)o."

"E perché vorresti comprarla rosa?"


"Pe(r)ché sì!"

A questo punto il mio tono tende sempre un po' ad incrinarsi perché, imparerete a capirlo, io cado facilmente nel cliché di innervosirmi a priori non appena inizio ad ascoltare i cliché sessisti legati a colori e a cose molto più serie dei colori.

"Perché rosa, Leo? Perché non la compriamo invece di un altro colore. Magari verde, gialla o BIANCA, come la tua?"

A questo punto Leo punta sempre lo sguardo verso il cielo come se la risposta non fosse dentro di lui ma sulle stelle.

"Pe(r)ché...pe(r)ché Picca è...Picca è...una BAL-LE-(R)I-NA!"


"Una ballerina! Bene Leo. Mi hai convinta!"

...

"Anche a te la cop(r)o "r"osa..."


"Anche a me...alé, la fiera del rosa. E perché anche a me rosa?"

Ecco ci siamo. Ci siamo. Me lo sento.

"Pe(r)ché anche tu sei una balle(r)ina."


Non siamo esattamente dove vorrei ma c'è di peggio.

domenica 26 luglio 2009

Hai voluto la bicicletta? Sì, ma i pedali?

Darei quasi per scontato che tra le competenze obbligatorie da acquisire fin da piccoli, insieme all'uso della parola, il controllo degli sfinteri e poi leggere e scrivere, si siano affermate nel tempo il saper nuotare e andare in bicicletta. Avete mai avuto il dubbio che i vostri figli dovessero o meno imparare a rimanere a galla o a pedalare?
Da qui i numerosi ricordi legati alla nostra prima esperienza di galleggiamento al mare o in piscina piuttosto che all'emozione di rimanere in equilibrio sulle due ruote.

Per quel che mi riguarda i ricordi legati ai primi momenti in acqua sono drammatici. So nuotare ma ho indiscutibilmente paura e solo da relativamente poco sono in pace con questa consapevolezza. Con la bicicletta invece è andata decisamente meglio ed è indelebile in me quella sensazione di massimo equilibrio provata intorno ai quattro anni in estate al campeggio, incoraggiata da un amico di mio fratello. No, non sono stati né i miei, né i miei fratelli ad insegnarmelo.

Recentemente ho letto dei post divertenti sull'apprendimento della bici: Flavia ci ha raccontato della prima di Pezzetto o Desian, che sono felice di citare tra i papà blogger, conosciuto personalmente al MAM, ne ha fatto un pezzo da lacrima.

Mi aggancio dunque alla frequenza di voci sull'argomento (per il nuoto ci sarà altra occasione, forse) per condividere una serie di riflessioni personali, tendenti al pragmatico.

Come tutte le mamme, ci tengo che i miei bimbi imparino ad andare i bici, non tanto perché "così fan tutti" quanto per il banale motivo che lo trovo "divertente". Saper andare in bici ti permette di andare a fare e vedere cose che altri modi non ti permettono: ti rende libero di scegliere di farlo in piena solitudine piuttosto che in affollate scampagnate; puoi scegliere tra la versione estrema e la versione lenta e riflessiva; può essere sofisticato e costoso oppure ecologico ed economico. Meglio sempre avere la possibilità, sapendolo fare, di dire "vado o vengo pure io" piuttosto che "detesto pedalare, no, grazie".

C'è stato quindi anche per me il fatidico momento in cui mi sono chiesta: "quale bici compro al primo, che poi magari mi porto dietro per la seconda?". E soprattutto: "seguo il classico percorso con rotelle prima/senza rotelle poi e via pedalare?". Penserete: "perché esistono alternative a questo percorso?".

La risposta me l'ha data una mia amica che un giorno mi racconta della sua esperienza con la bici senza pedali. "Senza pedali? E come funziona una bici senza pedali?" La mia amica me lo spiega, me la mostra anche, ma, onestamente, non ne riesco ad afferrare la logica. L'unica cosa che mi rimane negli interstizi del pensiero è che questa modalità va per la maggiore nei paesi nordici ed io, un po' per fanatismo esterofilo, mi lascio sempre un po' abbindolare dai richiami del Nord-Europa. Google mi assiste e scopro che dietro alla bici senza pedali c'è un mondo e ci decidiamo, nonostante l'enorme punto interrogativo sulla resa finale, a regalarla a Leo.

Da diversi mesi ne facciamo uso e sono quindi in grado di narrarne la scelta.

Chiarisco subito un aspetto: la bici non ha i pedali solo inizialmente. Lo scopo è saltare le rotelle e imparare il senso dell'equilibrio per arrivare a montare gli ambiti pedali. E poi via, il vento sulla faccia!

Il primo grosso dubbio che dovevo togliermi riguardava il divertimento di Leo. Può un bimbo divertirsi con una bici senza pedali? Chissà perché, nel mio immaginario ero fermamente convinta che la cosa attraente del mezzo fosse il pedalare. Ma ho capito che non lo è quando devi imparare a restare in equilibrio.


Quello che ho capito, osservando il piccoletto all'opera, è che senza pedali e senza rotelle il bimbo è tutto preso dal controllo del mezzo: guarda istintivamente avanti o in basso e tiene i piedi fermi sulla terra quando, in discesa, prende la prima velocità. Con le rotelle l'effetto è viziante. Con un supporto che tiene il mezzo per forza dritto, si sente libero di guardarsi intorno e di muovere il manubrio a vanvera. Pedala, certo, ma mentre lo fa ti parla, si gira indietro, non mette mai i piedi a terra per fermarsi. L'istinto a usare la leva del freno viene in un momento successivo. E Leo si diverte un mondo. L'ho potuto capire solo dal vivo. In poche ore ha acquisito un'agilità che sinceramente non vedo neanche quando cammina e, per quanto ancora non ci decidiamo a montare i pedali, in questo momento per lui andare in bici è questo. Ha capito che quando arriva una discesa può mollare i piedi e immagino che sarà la stesso equilibrio che lo porterà a saper pedalare.

Non credo che questa modalità sia migliore della più frequente da noi (tutti prima o poi ci arriviamo e chissene frega come) ma, toltomi questo sfizio, avevo voglia di raccontarlo. Anche perché, qualche settimana fa, collegata al faccialibro di turno, mi sono imbattuta in qualche foto della mia amica influenzatrice con suo figlio su una bici con le rotelle e la cosa mi ha un po' turbata.
Obbligatorio sarà chiederle il perché. Magari la risposta è che "Così fan tutti".

Parlano delle biciclette senza pedali:
Smamma
Yummy Mummy
Bebé Blog
1, 2, 3...Stella!

domenica 19 luglio 2009

La voce narrante lascia il posto alla musica

Le giornate sono isteriche. Volano come se avessero loro stesse fretta di scorrere veloci e arrivare dritte alla meta delle vacanze.

Nonostante l'incapacità di fermarmi a pensare e ad ascoltare, le voci non smettono mai di bisbigliare, di invadere il campo, di intrufolarsi di nascosto.

Questa settimana sono così esaurita che le sento anche nei blog che seguo. Qua e là mi sembra di percepire i soliti luoghi comuni su chi siamo e cosa dovremmo essere.
Sono stanca, solo immensamente stanca.

Quando mi sento così mi preoccupo per la qualità del tempo che passo con la mia famiglia, ma trovo delle soluzioni chiudendomi la porta alle spalle, sfilandomi le scarpe e sedendomi con loro sul tappeto bollente (ma che caldo fa? Maledizione!) e accendo una musica, una di quelle che mette d'accordo tutti.

Ma che musica! Con CD Audio Con questo post ne accendo una serie per condividere alcuni miei usi e costumi.

Questo libricino, grande quanto il CD musicale che vi si nasconde, non è cosa nuova (2007), ma quando i bambini prendono posto nella nostra vita ci ritroviamo esploratori di mondi mai osservati prima e scoviamo creazioni mai tenute in considerazione nella vita precedente. Almeno per me è così.

Questo libricino (a cura di Andrea Apostoli), le sue illustrazioni (di Alexandra Dufey) e la musica allegata, brani di classica e jazz, non è neanche particolarmente bello ma fa bene il suo mestiere e i miei bimbi lo apprezzano molto. E per me è questo quello che conta.

Nella mia smania di indagare su tutto, leggo sulla copertina (e qualcosa al suo interno) che si basa sulla Music Learning Theory di Edwin E. Gordon. Premesso che, in generale, sono un po' allergica alle "learning theories" perché tendono ad innestare in noi mamme un'ansia da prestazione che onestamente va ad aggiungersi a tutte le altre, non nego che tendo ad avere un debole per l'uso degli stimoli musicali nell'intrattenimento delle creature. Mi sembra una modalità molto semplice, spontanea ed efficace per avere tutta la loro attenzione e quello sguardo molto riconoscente che pochi altri ci riservano.

I miei bimbi hanno solo 22 mesi di distanza ma sono già così diversi nei loro interessi, nei loro tempi di apprendimento, nel loro modo personale di giocare, eppure quando c'è la musica e magari delle parole in rima o delle storie cantate vanno d'amore e d'accordo e io mi sento nella posizione di dire e fare (cantare, anche se stonata) qualcosa di estremamente carismatico. In poche parole, la musica mi aiuta a fare qualcosa di buono.

Alla fine di questa settima abbasso la guardia e delego a lei il suo [porco] mestiere.

sabato 11 luglio 2009

Arrivano i mostri

Il rumore di sottofondo che mi ha accompagnato durante l'intero anno scolastico è stato: "E' inevitabile. Prima o poi cederai anche tu a Gormiti e Winx".

Ora, il tema Gormiti/Winx contro tutti, promotori da una parte e detrattori dall'altra, immagino, sia stato già ampliamente trattato. Probabilmente non dirò nulla di nuovo. Onestamente non lo so se prima o poi cederò. Il punto non è questo.

Il punto è che io ci ho provato a respingerli/e.

A Natale sono arrivati i primi due ma, trovandoci lontani da casa, con la scusa di selezionare il contenuto delle valige di ritorno, li ho volutamente lasciati fuori di casa. E nessuno se ne è accorto. Non ne ho mai comprati/e e non li ho mai regalati/e.

Mi sono documentata per capire di cosa effettivamente si trattasse perché, senza sapere chi fossero e da dove provenissero, ero prevenuta verso degli oggetti plasticoidi e mostruosi e verso i relativi bambini utilizzatori.

Non sono stata fortunata. Quelli che incrociavo con dei Gormiti in mano tendevano ad essere piuttosto aggressivi ed invadenti e soprattutto fortemente persuasivi nel "voglio il prossimo". Quelli (per onor della cronaca dovrei dire "quelle" visto che, ahimé, sembrano appartenere al solo mondo femminile) con le Winx avevano uno sguardo sveglio e furbetto, il rosa e la porporina argento prevalevano in vestiti e scarpe e, anche in questo caso, un atteggiamento senza dubbio "voglio e posso". Questa è un'osservazione statistica e piuttosto superficiale ma, in generale, ho vissuto questa esperienza.

Comunque per ammorbidire il pregiudizio ho cercato di capirli e ho scoperto che i Gormiti, infondo, hanno una storia tutto sommato abbastanza interessante: intanto li ha inventati un italiano e questo ci fa sempre onore, poi si tratta di personaggi mitologici e scenari di gioco complessi, dove regna sempre il distinguo tra il bene e il male. L'intreccio epico narrativo richiede un notevole sforzo mnemonico, quindi l'intento di partenza non può che essere lodevole. Le Winx, anche loro frutto dell'ingegno di uno studio italiano, sono tutto sommato delle fatine, forse un po' leziose ma pur sempre scudiere del bene e del valore dell'amicizia. Anche qui l'intento di partenza è meritorio.

Ribadisco, non è questo il punto.

Per quanto, nella fase di assoluta non scelta dei mie bambini, mi sono ostinata a tenerli/e fuori e a indirizzare, quando potevo, gli acquisti verso giochi che reputo più stimolanti nell'uso della fantasia, a un certo punto, i "mostri", senza neanche bussare alla porta, sono entrati.

Nella scuola materna di Leo, di cui ho già iniziato a parlare, dove Ms. Montessori in persona manda avanti programmi encomiabili e stimolanti, ogni venerdì si pratica una sorta di tombola win/win: tutti portano a casa qualcosa. I premi sono messi a disposizione dalle famiglie stesse (a me toccherà dall'anno prossimo).
Ogni venerdì Leo porta un nuovo trofeo. Fatevi il conto di quanti venerdì ci sono in un anno scolastico. Talvolta ho avuto il dubbio che un tal ben di dio fosse stato sapientemente trafugato da mio figlio a qualche ignaro bimbo, ma nessuna mamma ha mai reclamato nulla (come invece capita per cappotti e maglie scambiate), quindi immagino che sia stato realmente il frutto di un libero scambio.

Questa mattina mi è venuta l'idea (scopo anche mettere un po' di ordine) di andare a caccia di tutti gli intrusi ereditati da questa oscura sorgente esterna. Leo e Picca ne hanno scovati ovunque. Abbiamo selezionato i mostri, litigato per decidere chi fosse un mostro e chi no (io per esempio ho insistito per uno zoccolo olandese di gomma rosa fuxia che per Leo non apparteneva alla categoria mostro), arrangiato un set fotografico e clic. Il risultato, che non rende granché, è in testa al post.

Per concludere non ho intenzioni censorie nei confronti di questi e altri giochi. Quello che mi spaventa è l'effetto fiscale di questi fenomeni. Se cadi nella rete e perdi la lucidità, il controllo della domanda, rischi di investire una somma di denaro spropositata in oggetti seriali di plastica, che nulla lasciano all'immaginazione dei nostri bambini. In questo mi sento un po' nostalgica, ma va bene così.