domenica 29 agosto 2010

Il numero perfetto

In una sola settimana due amiche mi hanno comunicato di aspettare un bambino, una il primo e l'altra il secondo e la cosa mi ha inspiegabilmente commossa, forse per le storie che si portano dietro, per la posizione che hanno coperto per caso e velocemente nella mia vita. Questo per dire che sono amiche speciali, pur non avendole conosciute tantissimo tempo fa o frequentate intensamente, eppure ci siamo legate a doppio filo, soprattutto nelle conversazioni, scambiandoci ricchezze e energia pura da spendere nelle giornate estremamente difficili. Curioso che una appartenga al mondo più fisico e l'altra alla rete.

"Secondo te quale è il numero perfetto di figli?", mi sento spesso domandare. Va bene, evito di far polemiche. Chiaro che ognuno ha il suo. Qualcuno dovrebbe anche avere il coraggio di dire "zero" e farebbe un piacere a se stessa e al mondo. Ognuno porta dietro la sua esperienza di figlio ma la porta in molteplici modi; poi ci si mette il destino che non fa sempre andare le cose come vorremmo.

Una mia risposta, con il senno di poi, è che non c'è un numero perfetto, ma di sicuro (per me) uno [1] non è il numero giusto. Anche io ho una storia, ultima figlia di tre e distante nove anni dalla seconda e undici dal primo ed è una storia fitta di dettagli che possono aver determinato un mio approccio alla numerosità ideale della famiglia, ma sono anche una persona che ha frequentato altre famiglie, le ha vissute e subite e, quindi, alla fine vai a capire chi ci mette in testa il perché e il per come di determinati desideri.

Da piccola, quando giocavo con le bambole e credevo che non avrei mai smesso di farlo, immaginavo che da grande avrei avuto sicuramente tre figli. In seguito è stato un continuo cambiare idea che mi ha lasciato addosso la cicatrice di chi pensa che non è in grado di far crescere neanche una piantina di basilico.

Viva nella mia mente è una vicenda, sempre di conversazione, che racconto spesso, forse perché la devo ancora smaltire.  Nato Leo, il giorno successivo al cesareo, quello in cui vorrebbero che già ti alzassi, un'infermiera, di cui vorrei piuttosto sapere il nome invece che definirla per il suo mestiere, vedendomi in difficoltà nell'alzarmi e particolarmente lagnosa, se ne uscì dicendo "ah, QUESTA il secondo non lo farà mai!". Sento ancora quanto bollenti fossero le lacrime che mi scorsero subito dopo per il dolore dei punti e la ferita di quella frase superflua e inadeguata.

Anche più avanti, già arrivata Picca, una mia carissima amica, di fronte alle mie ennesime lamentele da madre sovraccarica ebbe la brillante idea di apostrofarmi con "ma se sapevi cosa avrebbe comportato perché hai fatto pure il secondo?".

Onestamente non lo so con tanta sicurezza.
Ho pensato che a me avere fratelli è sempre piaciuto, ma perché erano molto più grandi di me e mi hanno straviziata; che il secondo mi avrebbe fatto compagnia con il primo, che poi la verità è che sono loro due che se la fanno; che se ce l'avevo fatta con uno, due non poteva essere peggio: l'esperienza è viva e le cose che sembravano insormontabili filano lisce.

Uno + uno per me non è due. E' spesso, ma non sempre, qualcosa in meno.

Il secondo ti fa vivere quanto diversi possono essere i bambini e quindi ti allontana dalla presunzione di avere un'unica soluzione per ogni questione. Difficilmente sentirai dire da chi ha più bambini che "a tutti i bambini non piacciono le verdure".

Più di uno ti fa capire che l'amore non è una risorsa finita e quindi non è qualcosa da dover spartire. Ce n'è e sazia tutti, anche fossero cento.
Capita poi che quando scleri con uno, l'altro ti faccia rinsavire e viceversa: nessuno è migliore degli altri.  Scopri quanto ti somigliano ma anche quanto diversi potranno essere da te.    

Ho pensato che se da grandi non troveranno le risposte da noi genitori magari avranno un'opportunità in più tra di loro.

Ci sono poi le speranze: che non si odino, che non litighino per la dimensione dell'avere, che si cerchino anche a distanze intercontinentali, che si manchino e che si cerchino e soprattutto che si stimino.

Comunque voi la pensiate quello che un giorno saranno i nostri figli, che sia uno solo o centomila, non dipenderà solo da noi.

venerdì 27 agosto 2010

La prima cosa bella

Alzi la mano chi nella vita non si sia mai trovato a doversi esprimere sul concetto che "i figli sono la cosa al primo posto nella vita". Che tu ne abbia o meno, che tu li desideri o no sembra che a un certo punto si debba per forza salire in cima a una torre e decidere cosa buttare giù tra una missione a Capo Nord e i tuoi figli, tra una cena con l'amica A. e il torneo di scherma della primogenita.

Arriva il giorno in cui ti devi sedere e carta e penna o mouse alla mano, mumble mumble, e giù "al numero uno chi ci metto?".

Ma non lo so! Ma devo proprio? Ma perché poi?

Passi la classifica delle canzoni più amate negli anni '80, passi l'elenco dei più belli dell'università ma a questa lista delle priorità io non ci voglio stare e mi rifiuto di sentenziare in modo definitivo e imprescindibile che i figli sono la cosa più importante della mia vita.

Orrore! Ma che mamma cattiva che sono!

Che poi se io dico "No, i figli NON sono la cosa più importante della mia vita", mi credete? oppure se dico "Si, i figli SONO la cosa più importante della mia vita", pensate che in tutte le circostanze, i contesti e le situazioni più variegate della vita questo assioma possa essere vero?

Ma basta con questa fissazione di stilare elenchi di priorità e dichiarazioni assolute.

Quando ti nasce un figlio e poi magari anche un altro e un altro ancora vieni travolto da un milione di priorità che si intrecciano come una matassa presa di mira dal gatto Penelope e non hai neanche il tempo di salire in cima a quella torre. Piuttosto in cima alla torre ci andresti ma magari di nuovo da sola, in silenzio a goderti il paesaggio dei tetti e i colori del tramonto.

Sono stufa di perdere tempo alla ricerca di una risposta da dare al prossimo che mi fa la domanda o anche se non la fa ne vuole parlare.
La risposta è "non lo so" o "forse" o "dipende" o "sìììì" o "anche no".

La verità è che se arriva il momento di dover scegliere tra due strade, quando però succede e non quando potrebbe, forse oppure se, chiunque è obbligato a prendere una decisione e solo in quel momento in funzione del tempo che hai per decidere e del numero di fattori che hai la possibilità di valutare,  ti dovrai porre il problema. Nella quotidianità della vita è un'assoluta perdita di tempo dichiararlo.

Non fraintendetemi, non voglio togliere il piacere di dire "i miei bambini sono la cosa più bella della mia vita", vorrei solo alleggerire chi se la prende troppo a cuore quando il problema non si pone.

Ehi, tu. Lascia perdere. A me non interessa sapere chi e cosa è più importante per te. Me lo posso immaginare. Se ti conosco lo posso intuire.

***La prima cosa bella è un film di Paolo Virzì. L'ho visto pochi giorni fa e mi è piaciuto molto. Anche questa è una storia di priorità che nella vita cambiano. In ogni momento.

sabato 21 agosto 2010

Voglie di una donna non più incinta

Varenna, ottobre 2005 [autoscatto]
Occupiamo finalmente la nuova casa di Parma. I bambini sono ancora lontani dalle attività di messa in ordine e si godono gli ultimi giorni dai nonni, mentre noi lavoriamo e mettiamo tutto a posto.

Ho vissuto nove mesi di "commuting", termine appreso, mio malgrado, pochi giorni dopo l'inizio del tram-tram tran-tran, tra Bologna e Parma. Non proprio quanto una gravidanza visto che si usa ragionare in termini di quaranta settimane, ma quasi. Una vita d'inferno, pesante, sempre lontana dai miei bambini che però sembra non abbiano accusato il colpo. Certo durante le vacanze l'effetto "cozza" si è amplificato in Picca ed è riemerso in Leo ma tutto sommato, ora che non sono più tanto bavosi e portatori di rifiuti ingombranti, mi hanno ricompensata di un periodo così alieno.

Forse perché sapevo che ero vicina alla fine, ma ultimamente proprio non ce la facevo più. Mi infilavo in quella macchina con l'idea che per arrivare in ufficio ci avrei impiegato troppo, con un sonno pericoloso e insidioso. La sera poi, sempre troppo buio, non riuscivo più ad arrivare per mangiare insieme; quando andava bene ci scappava una favola e il fine settimana ero sempre troppo stravolta per dare il meglio di me.

Quando si arriva troppo stanchi alla fine della giornata ci si rende conto che stai togliendo tanto agli altri e a te stessa e non va bene. Se possibile bisogna intervenire e tagliare da qualche parte, dove possibile.

Dopo nove mesi, quindi, abbiamo partorito una nuova casa. Mi piace. Abbiamo traslocato tutto quello che c'era nella precedente, anche alcuni colori, per ritrovarci in qualcosa di già familiare.

Flashback: Dopo pochi giorni nella nuova azienda feci una riunione per il passaggio di consegne di una persona dimissionaria. Fuori dal contesto lavorativo scambiammo due chiacchiere e ovviamente uscì fuori la mia storia di trasfertista. La persona mi ascoltava con particolare attenzione. Probabilmente raccoglieva dettagli. Un'altra, presente anche lei alla conversazione più tardi a pranzo, se ne uscì con una frase impulsiva: "sai che ci vedrei bene MC nella tua casa?" . In effetti lei sobbalzò e disse che stava pensando alla stessa cosa. Il caso volle che questa persona andava via per seguire la sua famiglia in un'altra città. Anche lei con due bambini aveva deciso però di traslocare alla fine delle scuole. Anche per lei ci sarebbero stati nove mesi di attesa. Ha un non so che di magico e serendipico ma in effetti le nostre esigenze coincidevano alla perfezione. Nei mesi successivi mi decisi ad andare a vedere la sua casa, poi ci tornai per farla vedere al Doc e poi ancora per capire se potevamo permettercela. C'è stato un momento in cui sembrava che non se ne facesse nulla, ma poi ci siamo tornati sopra e la cosa si è conclusa bene.

Back forward: Da qualche giorno sono concentrata su una serie di richiami e ho voglia di ascoltarli e di crederci. Vorrei chiamarle le voglie di una donna non più incinta. Non preoccupatevi non ho voglia di raperonzoli. Sono suggestioni dettate dagli ultimi cambiamenti, dalla nuova città e dalla nuova vita che mi aspetta.

Eccole:

Voglia di bicicletta - Qui a Parma ci sono i pedoni, i motorizzati e chi va in bicicletta. Quest'ultimi sono una categoria molto preponderante tanto che i primi due devono apprendere nuove tecniche per prevederli e affrontarli. Ho già imparato che quando esco da un parcheggio non devo guardare solo lo specchietto retrovisore ma prima di tutto il fianco di uscita perché tre su cinque arriva un ciclista e lo prendo in pieno. Fatto sta che sono contagiosi e io devo dotarmi di una bicicletta nuova da città. Ora poi capisco la risata di una collega quando le comunicai con entusiasmo che sotto la nuova casa c'era un negozio di biciclette. A Parma ci sono tanti negozi di bici quanti sono i numerosi istituti bancari.

Voglia di forma fisica - 'Sta storia di avanti e indietro e vita bislacca hanno decisamente influito sulla perdita di quel grado di forma fisica in cui mi sento a mio agio. No, non sto parlando di quello che vedete voi ma di quello che sento io. Ho preso il vizio di mangiare tanto e male. Ho preso quei chili in più nei posti sbagliati e soprattutto sono priva di tonicità. La nuova casa è senza ascensore e arrivo al piano con la lingua intorno al collo. Leo tra l'altro ha scoperto un banale movimento che tanto somiglia alla respirazione di pancia nella pratica dello Yoga. Mi è venuto in mente di raccontarglielo e adesso è fissato che lo porti a fare yoga. Certo mi piacerebbe pure andare a fare un corso di danza e non di certo sono attratta dalla palestra e i suoi umori. Insomma bisogna muoversi, io, il Doc e i bambini, ma senza cambiare città questa volta.

Voglia di cucina - Ma come? Bici, movimento e poi cucina? Diciamo che ho voglia di recuperarla. Svuotando scatoloni mi sono resa conto di quanto poco ho "creato" in questo lungo periodo. Ho attrezzi che potrebbero fare miracoli e sono fermi da troppo tempo. Ho paura pure di averci perso la mano. Ho voglia di riprendere, di sperimentare. Ho pure voglia di starmene un po' a casa. E che diamine! E a tutto questo è legata una gran voglia di socialità, quella fatta dagli amici e dai pochi familiari veri che mi sono rimasti.

Voglia di cancellare il mio profilo su FB - Ci avete mai provato? Me lo aveva detto un amico e io non ci credevo. Se lo fai ti propongono dei messaggi un po' patetici neanche stessi abbandonando i tuoi figli. Non che non mi piaccia il social network dei social network, al contrario sono sempre stata piuttosto attiva ma, chissà perché, quando mi prendono gli attacchi di insofferenza per tutto e per tutti, la prima cosa che vorrei fare è spingere quel bottone per sempre. Questa cosa sarebbe da psicoanalizzare. O magari semplicemente da fare.

Voglia di champagne e pizza - Champagne? Sì, champagne. Con la pizza? Ora mi spiego. Prima di trasferirmi non capivo perché durante alcuni convivi locali si tendesse a ordinare spesso lo champagne. Credevo di essermi infilata in un nuovo livello o che gli amici di bisboccia tendessero, come direbbero a Bologna, a fare gli "sboroni". Però non si trattava di champagne noti, ma sempre di etichette "nobrand", quelle cose che senti che sono buone ma non sono poi così famose, almeno per i non intenditori. Vivendo a Parma ho già capito dove sta la questione. Parma ha tra le sue massime aspirazioni quella di essere vissuta come una piccola Parigi e quindi lo champagne è di uso comune. Lo vendono e servono ovunque, anche in latteria e appunto in pizzeria. Margherita e champagne. Buone etichette, cantine di nicchia, una roba chic e sfiziosa. Come fai a non farti venire voglia, per di più non più incinta?

Insomma siamo nella futilità, del resto se quella disgraziata di mamma cattiva non avesse avuto voglia di raperonzoli, la figlia non si sarebbe invischiata in quella strana e sofferta storia d'amore.

lunedì 16 agosto 2010

Dichiarazione d'amore

Foto di Stefano Monetti
Sono trascorsi più di 16 anni (!) da quel giorno in cui mi girai a guardare il cupolone e mi resi conto che stavo lasciando la mia città natale per una dimensione sconosciuta. Non scherzo quando dico che me ne resi conto solo in quel momento. Un attimo di ferma razionalità e stavo per raggiungere una casa nuova, lontana dalla mia famiglia e dai miei amici di sempre, insieme, tutto sommato, ad un semi-sconosciuto. Neo-laureata, neo-sposa, disoccupata, ignara di tutto quello che mi avrebbe aspettato.

"Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l'abito bianco di seta ed organza,
fiori d'arancio intorno all'altare,
aspettavo il mio sposo con devozione." 

Flashback - Mi accompagnò mio fratello in chiesa con la sua macchina. Eravamo leggermente in anticipo e così decise di allungare il percorso. "Goditi Roma" mi disse. "Guarda se è bella".
Poi però cambiò discorso e mi disse: "Hai un'ultima possibilità. Basta che me lo dici e lo faccio. Ti porto in chiesa oppure all'aeroporto. Ti prendo un biglietto per un luogo qualsiasi e vado a spiegare io che non si fa più nulla". Rimasi di ghiaccio perché la risposta non arrivò di getto. Forse la sorpresa mista all'emozione, due minuti e dissi "ma no, dai, figurati". Eppure quando poi entrai in chiesa mi resi conto che erano tutti lì davanti alla mia promessa. Provai una stretta allo stomaco e quella non era emozione. Forse quello è stato l'unico momento di lungimiranza che non ho saputo cogliere perché la scelta era già stata fatta. "Che fai? Dici in quel momento a tutti che forse ti stai sbagliando?".

Back forward - Sedici anni dopo, lascio Bologna. Dio se ti ho amata. Ti ho amata talmente tanto che ti sono rimasta fedele anche quando potevo permettermi di lasciarti e ricominciare tutto altrove. E invece no. Sono rimasta. Sotto ai tuoi portici, con lo sguardo all'insù verso quei colori rosso aranciati dei muri e delle tegole dei palazzi del centro, nelle tue distanze a mia misura, nei locali goderecci dove le "minestre" non sono tristi pastine in brodo, ma goduriosi primi piatti impastati a mano.

Ho vissuto ogni angolo di Bologna. L'ho scandagliata nel primo anno di entrambi i figli, portandomeli nel marsupio e coprendo chilometri di depressione. Bologna è stata anche terapeutica perché nelle fughe a piedi mi rifugiavo nelle piazze, nelle chiese poco frequentate, tra le braccia delle amiche e degli amici acquisiti che ora sono parte di me.

Molti bolognesi hanno sempre commentato che conoscessi Bologna meglio di un locale. Ho imparato praticamente una nuova lingua. Non potrò mai dimenticare un "brisa" intercalato da un centralinista del mio primo posto di lavoro che mi lasciò interdetta, per scoprire poi che è un termine intraducibile, se non riconducendolo a un lontano "pas" francese: infili la parola e la frase assume il valore di una negazione.

Ci sono stati i tempi in cui mi gasavo nell'incontrare Dalla o Carboni per poi abituarmi e capire che mi abitavano vicino casa ed era normale, nulla di cui vantarsi. Morandi non era solo Gianni ma lo spirito di un vicino di casa nella mia prima dimora in Via Fondazza, un pittore, mica uno qualunque.

Bologna, Bulåggna in dialetto, era per me Parigi davanti alle vetrine di Tradii, Londra in Via San Felice, Praga negli itinerari labirintici dedicati ai misteri, le legende e le storie medievali, Venezia in Via delle Moline. Non mi mancava nulla a Bologna.

Nella vità però si deve avere il coraggio per i cambiamenti e con malinconia dico arrivederci alla mia Bologna, certa che mi apparterrà sempre, il contenitore e il contenuto.

Dedico questo post alla mia amica Nat.