sabato 26 settembre 2009

Una scheggia impazzita

Le mie giornate non sono mai semplici. Come immagino le giornate di tutte le persone che vivono, ma ci sono giorni che sembra che i dettagli prendano il sopravvento. Sei lì che ti dimeni tra decine di richieste e hai la sensazione di non poter dire NO, grazie, a nulla.

Ieri per esempio se un satellite avesse seguito la mia rotta, come sicuramente fa ogni giorno, avrebbe inviato un'informazione chiara al quartier generale: avvistata una scheggia impazzita.

In questo periodo di acclimatamento al nuovo lavoro, nuova azienda, nuovi colleghi e nuovi fornitori ho affinato un'organizzazione tale che mi permette durante la settimana di rimanere a Parma. Più o meno.
Il doc sta facendo in modo di essere lui "il genitore" della situazione: per l'inserimento a scuola, in caso di malattie, paturnie e capricci di Leo, Picca e la sottoscritta; c'è poi una nonna un po' imbranata, ma pur sempre una nonna, con un occhio di riguardo in più; poi la/le tate in avvicendamento laddove doc e nonna non arrivano. MC in questo periodo arriva ovunque meno che dai figli.

Ieri mi sono svegliata a Parma. Avrei dovuto passare la mattinata in azienda per poi andare a Milano nel primo pomeriggio. A Milano c'ero tra l'altro stata il giorno precedente. Dettagli di un'agenda, certo, ma fra un po' capirete dove vado a parare.

Arrivata in ufficio ricevo subito nota di cambiamenti di programma. Bazzecole.
Sbrigo varie ed eventuali e mi salta addosso un dettaglio inatteso. Pinzillacchere.
Il dettaglio inatteso richiede che io vada a Milano, all'istante. Quisquilie.
Chiamo l'autonoleggio: macchine non disponibili. Scava e scava e ne trovano una. Collega in sottofondo mi allerta di identificarmi con i titoli o mi assegneranno una macchina trattore. "Solito esagerato. Ora per una macchina ci vuole Picone…"

Arrivo alle chiavi: Fiat Qubo. Mi viene in mente un'operazione di lancio della Fiat in cui la finalista del concorso ha vinto grazie ad imprese mirabolanti.



Affronto l'autostrada e torna l'eco del mio collega. Prossima volta "Mi manda Picone" o arrivo dopodomani.

A Milano un traffico arrabbiato, il solito cielo anemico, missione parcheggio oltre l'impossibile. Sono in ritardo. Chiusa la prima tappa segue la seconda, dall'altra parte della città. E' la settimana della moda e se prendo un taxi rischio di passare il tempo in coda, con il naso spiaccicato sul finestrino a guardare i foto-modelli che passano. Sono figlia di genitori "alza il culo, mettilo sui mezzi pubblici e fai ciao ciao alle macchine ferme al semaforo". Lascio quindi la macchina in un silos e, in metro, arrivo dove già previsto. Mi batte un po' il cuore perché mi aspettano dei luoghi che mi hanno sempre affascinato: i quartieri post-moderni riabilitati a grandi templi della comunicazione. Dopo una riunione proficua con un collega in gamba, mi aspetta un'immersione (dicesi induction) nella storia della comunicazione della Barilla.



Flashback. Nonna Cattiva quando ha saputo che avrei lavorato in Barilla mi ha ricordato che, da adolescente, al passaggio di questo spot rimanevo letteralmente paralizzata.

NC non sapeva che in quel periodo ero cotta di un uomo di Parma, conosciuto in Francia, molto più grande di me ed evidentemente il mio aspirational desiderava il suo ritorno in Mercedes, nel casale in campagna, io organizzatrice di feste stilose e lui un pacco di spaghetti tra i denti. Con il senno di poi la lettura di questo ricordo potrebbe farsi articolata. Non è detto che non gli dedichi un post.

Sono le 18:30. Alle 19:00 devo essere da un'altra parte. Questa volta per un'occasione di crescita mentale. Mi piace vedere così una presentazione del guru BJ Fogg [correggo Fox in Fogg - il correttore automatico aveva sostituito una nebbia con doppia g in una volpe] sulla capacità persuasiva della rete. La sua idea è che grazie alle nuove tecnologie si possa realizzare la pace. La strategia dei piccoli passi. Grandi cose che si realizzano da piccoli dettagli. Piglia e porta a casa.

All'uscita mi svincolo da impegni professionali. Basta lavoro. Da un'altra parte mi aspetta una mia cara amica che non vedo da tempo e a cui posso raccontare i pensieri di questi giorni, senza sorrisi, grinta e auto-controllo. A lei che, come il doc, fa un lavoro così concreto e comprensibile. Devo recuperare la macchina nel silos. Ci posso arrivare a piedi ma è in zona stazione. E' buio e sono stanca. Sono realista. Saranno pure tutti in giro per modelle ma i malati di mente non stanno a guardare la mini-gonna.

Un angelo custode sconosciuto si offre di accompagnarmi a piedi. Potrebbe essere lui il maniaco. Sono troppo stanca. Mi fido. Non ci mettiamo pochissimo. Non riusciamo neanche a trovare l'ingresso pedonale del parcheggio. Sono le 22.
"Ciao. Piacere. Ci vediamo su FB". Come sono cambiate le modalità di relazione. Conosci una persona e il giorno dopo te lo trovi su Facebook. Cambi lavoro e il giorno dopo trovi dieci richieste di contatto su Linkedin.

Salgo la rampa del silos. A quell'ora l'Anapurna. Vado alla cassa. Un viso orientale mi comunica che accettano solo contanti. Ho solo 5 euro in tasca. In un parcheggio moderno con biglietti elettronici e tariffe stellari cosa vi manca per prevedere un bancomat? Riscendo la rampa alla ricerca di un distributore di soldi. Non sono mai fuori la porta. Sono così incazzata che se arriva il maniaco mi trasformo in Kill Bill.

Finalmente salgo in macchina e arrivo a casa della mia amica. Mi sento a casa. C'è anche la sua mamma in visita che ci ha preparato quelle che in quel momento sono per me le cose più calde e buone del mondo. Dovrei sentirmi mortificata per questi orari ma agli amici non devi mai spiegare nulla.

The end. Della giornata.

Sequel. Stamattina ho un aereo per gli Stati Uniti. Nel week-end passo a trovare mia sorella che non vedo da febbraio e i miei nipoti e mio cognato che non vedo da due anni. Lunedì invece sono a New York per lavoro. Torno giovedì mattina. Cool! Figo! Non c'è dubbio. Raccontiamo però anche quello che comporta questo sbattimento. Primo fra tutti quelle vocette bastarde, come direbbe Piattini, e quegli sguardi di biasimo come ha notato Silvietta, per tutto il tempo che sto togliendo ai miei bambini. Non sono così sicura di farcela.

Adesso vi chiedo un piccolo piacere. Toglietevi dalla testa questa falsa percezione di MC come donna cazzuta.
No, perché ultimamente sembra che vada per la maggiore.
Sarà il blog, l'uscita dalla rotonda, l'intervista geek ma io lo dico e lo ripeto: non sono affatto cazzuta. Spesso tra un tragitto e l'altro piango a dirotto, urlo forte, fortissimo che sono una pazza, litigo con il doc supplicandolo di salvarmi, di fare di me una persona semplice, senza pretese, ambizioni e interessi.
Mi risponde che non sa come fare. Salva bambini che nascono tre mesi in anticipo ma non trova il modo per fare di me una persona semplice.

sabato 19 settembre 2009

Pomeriggio in 3D


Non me ne voglia Mamma in 3D a cui prendo in prestito il nome della sua quarta dimensione, ma oggi è stato un pomeriggio speciale ed è la migliore definizione che lo coglie. Uno di quelli in cui ti butti dietro le spalle una settimana sconquassante, in cui ti chiedi un'ora sì e due no e poi di nuovo due sì e una no, chi te l'ha fatto fare di complicarti così la vita.

Il rumore di sottofondo più insistente è stato: "ma siamo sicuri che tutto questo lo stai facendo per te o per come ti vorrebbero gli altri?".

Nel pomeriggio il doc e MC hanno deciso di dedicarsi a Leo. Ogni tanto bisogna concedere un momento esclusivo a uno dei due, ricordandosi però di pareggiare i conti. Si ha il bisogno di ritagliarsi un tempo di eccezioni, come se fosse il tuo compleanno ma non lo è, come se fossi figlio unico ma non lo sei, come se potessi avere tutto ma non lo hai.

E tanto per ribadire con quanta poca fretta scopriamo cose nuove, abbiamo portato per la prima volta Leo al cinema. Leo non ha ancora compiuto 4 anni. Ci è stato una volta con la scuola ma con noi mai.

Sull'onda di una visione recente dell'Era Glaciale, numero uno e numero due, in DVD a casa, siamo andati sicuri sul nuovo sequel L'era Glaciale 3, l'alba dei dinosauri, in programmazione in questi giorni nelle sale. E giusto per non negarci un pomeriggio di effetti speciali abbiamo visto quello in 3D.

Ore 17:30 : ci siamo approvvigionati di abbondante pop-corn. Leo non riusciva a crederci, non faceva che ripetermi "Davve(r)o? Davve(r)o, MC, comp(r)iamo i cock co(r)n?". Abbiamo inforcato gli occhiali speciali e ci siamo letteralmente immersi nella visione spettacolare. L'ultimo film in 3D che ho visto credo risalga agli anni '80. Lo squalo? Possibile? Non sapevo più dove guardare: il doc, Leo o Scrat con la sua immancabile ghianda. Colpa forse la stanchezza ma ci sono stati momenti in cui ero così felice che mi sarei messa a piangere. Per non farlo ingoiavo "Cock corn".

E Picca? A due anni non avrebbe retto e così prima di uscire le abbiamo detto: "Ehi, Picca, ti lasciamo uno spritz e due patatine e noi ce ne andiamo al cinema...Picca è rimasta a casa con la nonna (la suocera) che in questi giorni è da noi per darci una mano. Per darci una mano ho aumentato le ore della tata...

Ore 17:15, prima di uscire quel meraviglioso odorino mi ha suggerito un cambio di pannolino. "Non ti preoccupare, MC, la cambio io", mi dice la nonna-suocera.

Ore 19:45 circa, chiamiamo casa. Ci chiediamo come la piccoletta abbia accolto l'abbandono. "Ah, tutto bene...". Bene! "Solo che non l'ho ancora cambiata"..."Come non l'hai ancora cambiata?", blatera il doc che già visualizza un culetto da bertuccia.
"Non ha voluto farsi cambiare".

Ecco, se, a due anni appena compiuti, Picca riesce a decidere lei di non cambiarsi probabilmente sarebbe stata in grado di venire al cinema.

Parlano di questo film anche:
Blogmamma.

Il blog di Ci_polla
Digita l'Orma

venerdì 11 settembre 2009

Mamme 2.0: parliamone.

Se aspetto di dirlo meglio non lo dico più. Come promesso scrivo la mia opinione nel Blog Cafè di Flavia.

Lascio questo post non commentabile perché vorrei che lo faceste di là.

martedì 8 settembre 2009

Shabby Geek

In questi giorni mi sta venendo il dubbio che non riuscirò a scrivere sul mio blog quanto vorrei ma evito di soffermarmi su questo pensiero. Lo farò, beno o male, ma lo farò.

Ho condiviso su questo blog il percorso dei mei cambiamenti e oggi voglio condividere con voi dove sono e cosa faccio.

L'occasione me la danno delle "ragazze" ad alto tasso tecnologico che stimo e che seguo con attenzione. Un giorno una di loro, Daniela Pavan, mi contatta per chiedermi un'intervista. "A me? Ma se proprio sicura?".

Ieri l'intervista è stata pubblicata su Girl Geek Dinners Italia.

Non amo le etichette, i cappelli sotto i quali limitiamo le nostre possibilità di esplorazione. Da giorni sto cercando il tempo per spiegarlo con lucidità e accuratezza (caratteristiche che normalmente spendo quando ne vale la pena) nel Blog Café di Vere Mamme. E lo farò. Trovo il tempo e lo faccio.

Mi fa piacere che le GGD mi abbiano percepito come una di loro e, forse, un po' geek nell'animo mi sento ma, forse, la definizione giusta sarebbe "shabby" geek:
una geek un po' trasandata, che trova nella tecnologia un supporto a tutti i propri casini. E non mi sento neanche tanto "girl", io che nelle mie conversazioni sorvolo sempre sui cliché di genere.

Tutto questo vedrò di approfondirlo da Flavia.

Nel frattempo sentitevi liberi di conoscermi un po' di più qui.

giovedì 3 settembre 2009

Non deve essere solo merito nostro

Quest'anno la mia Picca è riuscita a entrare in un nido comunale. Dietro però c'è un trucchetto. Normalmente, infatti, risultiamo essere cinquantesimi in lista d'attesa... e siamo a Bologna. Questo succede sicuramente nelle sezioni dei piccoli e dei medi. Per i solo duenni (sezione grandi), invece, dalle mie parti, c'è una struttura che le addette dell'ufficio scuola mi definirono "un salottino per prendere il tè: un posto delizioso con brave educatrici e che vanta anche un'attenzione e dei programmi di pregio". Sembrava ci fosse la fregatura tanto lo esaltassero. Il difetto sembrava essere l'orario: 7:30-13:30, pranzo incluso. Dopo sono cazzi tuoi: mamma a casa (se non lavora o lavora part-time), papà a casa (se non lavora o lavora part-time), nonni oppure tata.

A Bologna c'è la regola - solo per il nido, non per la materna - che se sottoscrivi un elenco di strutture e loro te ne assegnano una, non puoi dire: "No, questa non la voglio più, aspetto la prossima". Funziona: "Prendere o lasciare, lasciare il nido comunale".
Per questo motivo pochissime famiglie mettono nel loro elenco questo nido. Perché la maggior parte delle famiglie, evidentemente, ha bisogno del supporto anche di pomeriggio. Non me la spiego diversamente. Salvo il fatto che poi, l'anno successivo alla materna, il pomeriggio ci sono pochissimi bambini. Qualcuno mi aiuti a capire.

Le circostanze vogliono che sebbene lavori a tempo pieno, io abbia sempre vissuto i miei figli a due anni come incapaci di sostenere il tempo pieno al nido. L'ho sempre vissuta male. Colpa mia.
E così segnato nell'elenco quel nido, sia Leo che Picca, al compimento dei due anni, sono stati presi.

Oggi c'è stata la riunione dei genitori per presentare il nido, le educatrici, le ausiliarie, i genitori. Da comunicazione, la data di inserimento prevista per Picca era il 12 ottobre. L'inserimento prevede un ingresso graduale con la presenza del genitore (quasi sempre la mamma), per le prime due settimane. La riunione oggi era alle 14:30.
Se mi fossi soffermata su questi elementi, data di ingresso, durata e metodo di inserimento e orario dell'assemblea, avrei dovuto buttare alle ortiche la nuova opportunità di lavoro.

Qui entra in scena il doc. Se nella mia vita non ci fosse il doc che mi ha detto: "vado io alla riunione e convinco le maestre ad anticipare la data di inserimento" e soprattutto "quest'anno prendo io dei permessi e faccio io l'inserimento di Picca", mi sarei trovata in seri problemi. In generale se nella mia vita non ci fosse lui, non potrei essere qui a dichiarare che i cambiamenti sono nelle nostre mani.

Il doc ha portato a casa un bel 22 settembre.

martedì 1 settembre 2009

Il primo giorno di ogni cosa

Con estrema semplicità posso gridare che la mia prima e vera passione è viaggiare. Ma oggi non voglio scrivere di questa passione. Oggi voglio parlare di un nocciolo granitico che l'esperienza del viaggiare mi ha donato tanti, tantissimi anni fa e che mi porterò dietro in ogni esperienza di cambiamento e di migrazione.

Mia madre ha iniziato a lavorare con mio padre quando avevo 7 anni. Un lavoro che si concentrava per lo più nel periodo estivo e che ha portato i miei genitori a organizzare parte delle mie vacanze senza la loro presenza (determinismo familiare?) : prima la colonia gestita dalle suore, poi quella del comune, poi le vacanze studio all'estero, a volta anche per due mesi consecutivi, da minorenne. Poi finalmente le mie vacanze con lo zaino in spalla, da maggiorenne.

Quello che ricordo con estrema lucidità è quella sensazione di smarrimento e scoramento del primo giorno nel luogo in cui arrivavo: nella grande camerata di sole femmine con il crocefisso in vista; nel grande refettorio con le brocche d'acqua allineate; nella stanzetta della famiglia inglese/francese che mi ospitava per una manciata di spiccioli; nella canadese con i picchetti storti del campeggio di turno.

Tristezza? Macché. Io ero contentissima di quell'autonomia. Preparavo meticolosamente la lista delle cose da mettere nella mia valigia e arrivata nel posto nuovo ordinavo le mie cose con metodo. Mi sentivo grande, anzi adulta, indipendente.

Non il primo giorno però. Il primo giorno volevo prendere e tornarmene a casa. Non trovavo la strada per andare al bagno. Non capivo cosa dovessi chiedere da mangiare. Dovevo conoscere persone nuove. Nessuno capiva cosa avevo da dire.

Poi però sperimentavo più o meno uno stesso percorso. Iniziavo a dormirci sopra. Osservavo le regole del luogo e le facevo funzionare su di me. Guadagnavo sempre più la sensazione di familiarità. Tempo una settimana e mi sentivo padrona delle situazioni, delle conversazioni e soprattutto in confidenza con le persone. Smarrimento che mutava in confidenza.

Non ho mai perso questa consapevolezza, che una situazione di disagio e di inadeguatezza potesse trasformarsi con il tempo in un'esperienza familiare.

Oggi è stato il primo giorno di lavoro. Quelle sensazioni di languore, nausea, disorientamento mi hanno aggredita con più forza del solito. Volevo chiudermi in un bagno (dove cazzo sono i bagni in questo labirinto?) e piangere. Volevo io per una volta rifugiarmi tra le braccia dei miei bambini.

Mi sono aggrappata al nocciolo. Mi sono detta: "E' come sempre, domani questi nomi diventeranno noti e ritroverai la sicurezza delle abitudini".

Adesso vado a finire la mia birra.