domenica 30 gennaio 2011

Il valore della vergogna

Marta Czok
Il giorno che capii fin dal profondo delle mie viscere di aver fatto una scelta sbagliata, una scelta che coinvolgeva la vita di una persona e il suo futuro, sprofondai nella vergogna, una vergogna così nera e totale che pensai che l'unico modo per uscirne fosse morire. Prendo le cose sempre molto seriamente e l'avergli detto "finché morte non ci separi" davanti a un capo della chiesa e magari anche davanti a Dio, alle istituzioni, ai miei genitori, a suo padre, a parenti ed amici mi sembrò un impegno serio, un giuramento che non potevo rinnegare. La soluzione sembrava poter essere solo auto-distruggersi, sparire dalla faccia della terra piuttosto che chiedere scusa o ammettere di essersi sbagliata.

Mi sono sempre interrogata sull'origine di un senso della responsabilità così forte, su cosa di quello che ci passano l'educazione, la morale, i geni, il caso combini un risultato così deciso. Per ognuno di noi esiste una frazione di secondo in cui ci si trova a scegliere tra il proprio bene e il proprio male. Come quella volta, a 16 anni, in vacanza, nella Francia della costa atlantica,  in cui mi ritrovai a una festa, con un gruppo di figli di papà, con la sola voglia di divertirmi e di sentirmi libera ma soprattutto bella e desiderata. C'era lo champagne, le ostriche della Bretagna e c'era anche la droga, una polvere bianca e inconsistente. Il tempo per dire sì o no era molto poco, il tempo per sentirsi dentro o fuori era ancora meno. Il mio non fu un atto di coraggio. Io non ero affatto coraggiosa o sicura di me, al contrario mi nascondevo dietro la scelta di affiancarmi a persone grandi e spregiudicate. Ma dissi di no, guardai negli occhi di quella persona e dissi più che altro a me stessa che potevo scegliere. Non pensai ai miei genitori, pensai a me stessa.

La scelta tra il bene e il male è per me un pensiero ossessivo. Ora poi che ho la responsabilità di due figli mi chiedo quotidianamente dove troveranno loro quel confine, lontani da me, dai miei occhi e dai miei permessi e dai miei divieti. Mi chiedo come sia possibile che io abbia provato vergogna per un matrimonio fallito e spesso per molto meno, mentre un uomo al vertice di uno stato, nell'esercizio delle sue funzioni pubbliche non abbia neanche un secondo di sussulto, neanche inconscio.
E allora mi chiedo se la vergogna non sia piuttosto un valore, se i sensi di colpa, quelli legati a scelte che provocano conseguenze tangibili, mutilanti sulla vita delle persone non siano auspicabili e terapeutici.

Noi madri che abbiamo generato la vita siamo qui a flagellarci per una poppata in meno, uno strillo in più, per il troppo lavoro, per il poco tempo trascorso con bambini che hanno già tutto e là fuori persone che speculano sui falsi sensi di colpa impoveriscono liberamente il nostro futuro. Hanno anche il coraggio di chiamarla libertà.

sabato 1 gennaio 2011

Il rifugio

Foto di Mamma Cattiva (Austria)
Ci siamo. Devo battezzare la parola chiave del 2011. È un impegno verso la colonna sinistra di questo blog ma soprattutto verso me stessa. Non è una parola guida dei buoni propositi, al contrario i buoni propositi meglio lasciarli stare che espressi in questo periodo tendono statisticamente ad essere mancati, come dei birilli, uno dietro all'altro. La parola deve ispirarmi, suggerirmi le priorità, darmi coraggio, indicarmi la strada e alla fine mi suggestionerà e "mi farà compagnia", come direbbe Picca, quando ha bisogno del mio aiuto.
C'è un grande obiettivo che al doc e me, finché andremo d'amore e d'accordo, da' grande speranza. È un traguardo, di quelli che però fanno quasi ricominciare, che chiamiamo il nostro rifugio. È qualcosa che va oltre i nostri figli, semmai il destino ci darà il giusto tempo per vivere insieme, da soli, osservatori a distanza della loro indipendenza. Il nostro rifugio è una piccola casa lontana da tutti gli obblighi che fino ad oggi tolleriamo, in un luogo dall'orizzonte infinito, un posto che ci racconti di sé non appena lo troveremo. Abbiamo delle idee ma non l'abbiamo ancora trovato, forse trovarlo oggi sarebbe troppo presto, non vorremmo sentirci rapiti da una realtà troppo diversa da quella che viviamo oggi.
Quando partiamo, soli o con i nostri figli, per pochi giorni o una vera vacanza, i nostri occhi esplorano i dintorni, ci perdiamo volutamente, scattiamo delle foto e speriamo che in qualche pertugio inatteso si trovi la destinazione della nostra vera libertà.

Per adesso la zona che prediligiamo è in territorio francese. Entrambi adoriamo la Francia. Il doc ed io, infondo, ci siamo incontrati di nuovo a Parigi, al matrimonio di una nostra cara amica. Di nuovo perché ci eravamo già conosciuti undici anni prima in circostanze poco sospette. Spesso ci diciamo che se avessimo capito allora quello che ci legava ci saremmo evitati un sacco di errori e risparmiato tempo prezioso, ma evidentemente i tempi per essere giusti devono fortificarsi di solchi profondi.
Il nostro amore per la Francia ci ha riavvicinati e magari in futuro ci ritroverà affiatati o magari no.

Il doc aspira alla Bretagna, l'oceano, il vento troppo freddo, io alla Provenza secondo lui troppo costosa e alla moda ma per me calda, profumata e accogliente.
Eppure nel nostro girovagare abbiamo sospirato in Portogallo, in Austria, in Guatemala, in regioni italiane diverse dalla nostre origini.

La parola del 2011 sarà "Ricerca" ma non del rifugio bensì del tempo perso, delle soluzioni nelle righe scritte da altri, dei richiami di quello che potrebbe essere un futuro diverso, delle alternative a questa sensazione di appartenere a una vita troppo complicata e superflua. La ricerca mi distoglierà dalla abitudine cronica di essere in ritardo, mi farà scegliere e selezionare, mi spronerà a dire più no.
I miei bambini mi aiuteranno in questo, loro assetati di dettagli e di approfondimenti. Sarò meno presente in alcuni luoghi e per la prima volta in altri.
Proverò a recuperare alcune persone e a lasciarne altre ma poche perché le persone che seguo sono preziose.

Ora scrivo Ricerca nella colonna sinistra del blog.