sabato 6 marzo 2010

Il peso lordo delle parole


A proposito di illuminazioni oggi ne ho goduta una. Ultimamente Leo quando si arrabbia e vuole allontanare la frustrazione di sentirsi dire quello che deve fare o non fare, inizia a negare il piacere della cosa.
"Non mi piace andare da G.", se per esempio non gli può essere permesso di andare dal suo amichetto cinque minuti prima della cena, oppure "Non voglio più dormire, mai più", quando la mattina lo buttiamo giù dal letto per lavarsi e vestirsi oppure il classico "Mamma, allora io non ti voglio più bene", magari per difendersi, per ferirmi e magari farmi tornare indietro sulle mie posizioni.

[Tele : Blu and Joy di Fabio La Fauci e Daniele Sigalot]

Parlo spesso di Leo perché riesco a raccontare meglio la comunicazione dei bambini che parlano, ma Picca a modo suo fa più o meno la stessa cosa: "Non ballo più", quando dobbiamo smettere per andare a mangiare. Picca poi usa un urlo selvaggio di quelli da chiamata immediata ai vigili del fuoco perché c'è una mamma cattiva che sta maltrattando la sua bambina. "Ma è un angelo quella bambina, così a modo, ma come fai a dire che spesso è una pazza isterica".

Oggi Leo se ne è uscito con "Ecco, domani mi metto la giacca e me ne vado via". Ci siamo. E' arrivato il mio momento. Di già?
Io ricordo quando lo dicevo a mia madre quindi immagino fossi più grande di quattro anni. L'illuminazione è stato questo ricordo, di averlo pensato e detto anche io.
Riconoscere di aver provato noi stessi sentimenti negativi verso le persone che amiamo profondamente ci aiuta a tollerare il momento in cui il gioco delle parti si inverte, quando noi diventiamo le vittime e le persone a cui diamo tutte noi stesse ci feriscono e si ribellano. Ci ricordiamo della confusione successiva e sconvolgente dentro di noi per quello che abbiamo detto, della voglia di ricacciare tutto dentro e voler dire "no, non volevo proprio dire questo" oppure "sì, volevo proprio dire questo ma perché sono arrabbiata, perché non mi stai capendo, perché non vuoi arrenderti e mi neghi il diritto di spiegarmi con calma".

Non sto ritrattando il pensiero espresso sull'amore assoluto. Non sto negando l'esigenza di consapevolezza che le nostre parole e azioni hanno sempre delle conseguenze. Quella è una responsabilità che dobbiamo acquisire per porre dei limiti all'onnipotenza. Qui parlo di empatia, di comprensione per quello che ci stanno comunicando gli altri e per primi i nostri figli.

Quando provo a spiegare questo a mia madre, quando provo a raccontarle che non provo costantemente un amore infinito per il sangue del mio sangue, compresi i miei genitori, lei mi risponde con estrema sicurezza che lei ha sempre amato e rispettato profondamente i suoi genitori, che non si è mai permessa di dire certe cose. Mancando di questa empatia non è in grado di gestire i miei repentini cambi di umore e temo che non abbia mia digerito i miei denti avvelenati. Svantaggiata da questo deve aver sofferto tanto.

Quando oggi Leo ha detto quella frase avrei potuto sprofondare in un senso incontrollabile di smarrimento e mettere in discussione tutto il mio modo di agire, ma ho ricordato, ho capito cosa c'era dietro quella frase e l'ho ascoltato. Ho fatto un respiro profondo. Mi sono detta "sta provando a farmi cambiare idea, sta esprimendo il suo disagio nel modo più veloce a disposizione".
Non mi ha convinta che domani quando si metterà la sua giacca avrà il desiderio di andare via.

Quanto a mia madre e alle passate generazioni, una mia teoria alternativa puerile e da quattro soldi è che l'ormone dell'oblio del dolore non è attivo solo dopo il parto.


[Tele : Blu and Joy di Fabio La Fauci e Daniele Sigalot]

16 commenti:

Ondaluna ha detto...

Non è tutto cara: non sta solo esprimendo rabbia, sta anche crescendo. Sta iniziando una nuova pagina della sua strada verso l'autonomia, ed è una pagina importantissima. Sta provando a vedere che succede se "per caso, un giorno, ma molto lontano" dovesse "mettersi la giacca e andare via". Per ora lo farà solo immaginandolo, poi proverà a farlo per qualche istante, poi per un pò di più, poi un giorno andrà via davvero. Ma ogni volta tornerà. E andare, e poi tornare, sarà ogni volta più facile se tu continuerai su questa strada nella quale mi sembri già brava.
Il messaggio "puoi andare, io non smetterò di amarti" (che è implicito, e non esplicito) è quello che li aiuta a diventare grandi. Anche "puoi arrabbiarti" funziona allo stesso modo (e mi sa che tu l'hai intuito).
Genitori vittime della loro rabbia? Non credo. Credo fondamentalmente che i figli abbiano bisogno di metterci alla prova, di vedere quanto siamo forti, di sperimentare quanto quel confine che noi siamo per loro resiste agli urti. E se "picchiano duro", contrariamente a quello che appare in superficie, è perché hanno bisogno che noi siamo in grado di resistere.
I miei complimenti, "MammaCattiva".

VereMamme ha detto...

parli di peso lordo, e in effetti fare la tara a quello che mi viene detto non è tra le mie migliori abilità. Prendo tutto "face value", perchè io per prima lo dico così...e quindi cerco di fare la tara a me stessa quando parlo...ma chi ci circonda, ovviamente, può essere molto diverso. per non parlare di quando arriveremo all'adolescenza dei figli, eh. da meditare...

Castagna ha detto...

Anche la volpe diceva "non è ancora matura" dell'uva che non poteva avere.
Mia madre e suo fratello (più grande di un anno appena) facevano "i nostri poveri fagotti": mettevano tutte le loro cose preziose in un panno, se lo caricavano sulla schiena e andavano fino in fondo alla strada, erano gli anni Cinquanta e si poteva fare, c'erano poche macchine in giro, e quando lei me lo raccontava io ho sempre pensato che fosse molto catartica come attività: una piccola presa d'aria di libertà per non sentirsi intrappolati quando le cose si fanno difficili. Io da bambina andavo, in campagna, fino al limite della proprietà abitata e guardavo la collina, sognando di infilarmi tra i cespugli e sparire, vivendo di bacche e dormendo su un tappeto di foglie. Oggi su quella collina ci hanno costruito.
Oggi vado con la macchina fino a un belvedere di un paesino silenzioso e fumo una sigaretta guardando le montagne, a volte anche piangendo.
E' un bisogno di tutti, anche dei bambini, staccare un po' dalle fatiche della vita quotidiana, da tutti i suoi divieti e dai suoi no. Dovresti vedere cosa scrivono i miei alunni quando dò il tema sul luogo dell'anima (dopo aver spiegato l'ermo colle di Leopardi). A volte vanno solo sotto un albero dietro casa, ma per loro è un mondo intimo e libero.

valewanda ha detto...

anche io con mia mamma spesso non riesco a condividere certi approcci, e questo fa sì che il nostro rapporto si fermi invetabilmente ad un certo punto. Si parla di cose pratiche, di bambini, di commissioni, ma sulle sensazioni e sui sentimenti inevitabilmente non ci si capisce. E' sua la frase: "Tu esci con le tue amiche, ricordati che io quando avevo te non uscivo mai!", frase buttata lì che mi ha lasciato senza parole, perché è un mondo di lontananza tra me e lei.

Stefania ha detto...

Un giorno quando il mio grande8 era in camera sua... io l'avevo esiliato lì per un suo brutto comportamento ( ops ... si , sono una che usa il..vai in camera tua!!!) ha cominciato a parlottare fra sè ... ed io , passando lì vicino ho ascoltato... di tutto. Piroette della fantasia dove lui non mi voleva bene e se ne sarebbe andato , ecco ... basta di qua e di là ... tanto io ero cattiva e brutta e questo e quello ... Mi preoccupai parecchio, ma dopo quello sfogo mi abbracciò forte senza parole come a scusarsi di tutte le cose pronunciate. Credo che sia sano buttar fuori le proprie nuvole nere . Ma noi "grandi" di anni non sappiamo più farlo e lasciamo che la rabbia crei dentro un bel castello di tensione e malumori. I "piccoli" sono immediati , veri , puri . Come vorrei saper essere anche io così di tanto in tanto... Ti abbraccio

Silvia gc ha detto...

E' come se avesse affermato che un giorno saprà mettersi la giacca ed andarsene. Non per rancore, ma per capacità di farlo.
In fondo non c'entra nulla con l'amore, c'entra con l'indipendenza. Ci sarà un giorno in cui andarsene sarà una liberazione, l'inizio di un volo: ed è giusto così.
Sarà che tutte le volte che il Sorcetto sostiene che non vorrebbe avere una mamma e un papà, o almeno non questi, ha un tono così poco convincente...

PaolaFrancy ha detto...

però sai ... quello che ti comunica un bimbo piccolo non è sempre disagio.
la psicologa, per esempio, mi ha spiegato che è una fase naturale di passaggio quella in cui un bimbo in età prescolare sente il bisogno di staccarsi dalla propria madre ... ma con un forte senso di colpa. e, non volendo dare a se stesso del cattivo, lo dice a sua madre. volendo e non volendo staccarsi da lei, fa in modo che sia lei ad andarsene. ma se questo succede veramente ( se la madre se la prende per questo e si fa vedere provata e rattristata ) si innesca un meccanismo per il quale il bimbo prende "potere" e pensa di governare i sentimenti della propria madre. ma nello stesso tempo soffre per un distacco di cui sente il bisogno senza volerlo veramente.
non so se leo sta attraversando questa fase.
ma sicuramente quello che esprime è amore verso di te e la necessità di diventare una persona "indipendente" con un proprio pensiero, un proprio modo di agire. ma raggiungere questa sorta di indipendenza lo fa sicuramente soffrire e riversare il suo sentirsi cattivo su di te.

quanto ai messaggi che invece lanciamo ai nostri genitori o riceviamo da loro ... beh, questa è un' altra storia.
io a 15 anni ho addirittura rinnegato il mio nome. volevo chiamarmi simona. paola mi faceva schifo. e odiavo i miei per questo. mi ricordo come se fosse ieri quando mi sono buttata sul letto singhiozzando come una matta.
il problema è che dietro a questo c' era un disagio profondo che non sapevo ( e pensavo di non volere ) esprimere in altro modo.
e, soprattutto, c' era la non voglia dall' altra parte di capire. di analizzare il perchè di certi comportamenti, soprattutto se assurdi. capire che siamo tutti diversi e tutti speciali. che OGNUNO AMA A MODO SUO.
a me questa non voglia ha fatto male. nessuno è venuto a chiedermi perchè. a cercare di capire. solo urla, sgridate, sberle anche.
e non credo che mia madre abbia sofferto per questo. ho sofferto io per questo.

se pensi che tua madre abbia sofferto per i tuoi cambi d' umore e per i tuoi approci diversi dai suoi, allora credo che abbia provato almeno a capirti. lo spero per te.
il fatto che tu provi ancora ancora a spiegare è un altro indice di questo. io è da tempo che non provo più a spiegare a mia madre come mi sento.
eppure lei mi ha confessato che non ha amato suo padre.
eppure è una donna "moderna", aperta.
eppure si commuove di fronte a due sentimenti che non si incrociano. altri due, non i nostri forse.

fai bene a non essere stata convinta da leo. quello che sta esprimendo è amore verso di te.
quanto all' ormone dell' oblio del dolore ... ci penso su.

paola

orma ha detto...

Anche Gaia dice "mamma cattiva, mamma brutta, non ti voglio più bene", Giada non ci riesce ancora e per il momento quando è arrabbiata con me se la prende con sua sorella e suo padre anche se non sono presenti e io vorrei che invece se la prendesse con me, che iniziasse a prendere le distanze da me, alla ricerca della sua autonomia proprio come fa Gaia.
Per me è un po' strano, dato che non ho rapporti con mia madre, o meglio lei ha deciso di non averne più con me. E io in quei momenti dico (vabbè a volte lo urlo) a Gaia, e anche a Giada, che io non smetto nemmeno un minuto di amarle e che so che sono arrabbiate.
Gaia, ormai, quasi subito mi chiede scusa e mi dice che non voleva dirlo e io le dico che lo so. Dentro di me so che io le amerò sempre, perchè l'amore di una madre è per sempre, non è da dare per scontato quello di un figlio.
E io purtroppo so che non è scontato nemmeno quello di una madre...

lorenza ha detto...

Beh, devo dire che i "Mamma ti odio!!" di mio figlio hanno lasciato il segno, e anch'io ho cercato di respirare profondo e tenere botta, anche se me li ricordo tutti (insomma, non è che sono tanti, ma due o tre in 7 anni di vita e circa 5,5 di utilizzo del linguaggio verbale fanno il loro peso lordo...). Due riflessioni però mi suscita questo post.
1. Sono entrata in una fase in cui mi preoccupa di più il linguaggio non-verbale dei miei figli, cioè quello che non dicono. I musi che tengono e non sai il perché, gli isterismi senza senso apparente, le tristezze non dette... E' un limite sacrosanto che non posso valicare, ma solo rispettare
2. L'amore a volte è anche "dovuto", in un certo senso, è più un'opzione della volontà che un sentimento del cuore... E credo che le nostre mamme siano state cresciute con una visione più doveristica che sentimentale dell'amore, e forse per questo è difficile, per loro, capire. Forse, eh. Non so.

Anonimo ha detto...

Qualche anno fa ho assistito personalmente a questa scena. Il figlio di una mia cugina (allora 4enne, oggi all'università) dopo un rimprovero, prende il suo giubbino di jeans e dice: basta mamma, sei troppo cattiva, io vado via. Poiché era una casa in campagna con un grande giardino e quindi si poteva "simulare" senza far correre alcun pericolo al pargolo, mia cugina gli apre la porta e dice: se è questo che vuoi, vai pure amore, la mamma ti augura buona fortuna! Lui si è avviato, a metà del vialetto si è fermato, si è seduto, si è preso la testa tra le mani (rifletteva). Poi è tornato indietro, ha guardato la mamma e ha detto: magari stavolta resto, però tu mi devi promettere che non devi avere sempre ragione tu, ma ogni tanto anche io, anche se sono piccolo.... Lì per lì abbiamo tutti riso, ma pensandoci adesso nelle parole del piccolo Paolo c'era una proposta di conciliazione delle rispttive esigenze che di solito tra genitori e figli non si trova mai, né da una parte nè dall'altra... Ciao, Alessandra

Mamma Cattiva ha detto...

In ogni commento c'è una storia e un insegnamento e i migliori da cui imparare sono i nostri bambini. Non solo avete confermato il mio pensiero ma lo avete evoluto.
In questi giorni non sono proprio in forma mentale e la prima cosa che mi verrebbe da dire sarebbe "ecco, domani prendo la giacca e vado via" ma io sono adulta, ho due figli, un compagno, una famiglia, buoni amici e dove mai potrei andare? Potrei sperimentare una fuga in autostrada, sbagliare l'uscita del casello, farmi un giro nella vecchia rotonda ma poi sempre lì torno, a infilare il naso in quel profumo di bagnoschiuma neutro misto a pennarelli e banana.
Certe volte vorrei entrare qui e spingere il pulsante "cancella questo blog" ma poi vi leggo e dico che potrei cancellare i miei deliri ma non i vostri commenti.

Chiara Trabella ha detto...

Quando ero incinta di Ettore, ho avuto una giornata buissima, probabilmente dovuta agli ormoni (io dico sempre di avere avuto la depressione pre-partum). Ho progettato minuziosamente una fuga all'estero, con tanto di valigia da preparare appena Ettore fosse nato. Fuga solitaria, ovviamente.
È stato catartico, anche se sapevo che non l'avrei mai fatto. Figurati per un bambino.

unamammasullaluna ha detto...

Io me lo ricordo bene, ero una di quelle bimbe che si ritrovava a parlottare da sola, abbracciandosi le ginocchia chiedendosi "ma dov'è la mia vera mamma? che questa mica può essere davvero la mia mamma che è così cattiva!". Sono meccanismi di difesa che mostrano già un po' il temperamento dei nostri bimbi... Attacco o fuga? Pestare i piedi e gridare ancora di più, rilanciando la posta quando ci si sente non considerati-capiti-accontentati o fuggire nel "e allora io non ci sto più?". Nell'attacco c'è spesso ancora immaturità, nella difesa "fuga" c'è un'elaborazione e una strategia maggiore. La fuga dell'io me ne vado è diversa dal tipo di strategia del "ma io da G. non ci voglio più andare" che è ancora più elaborata ed è un po' identificazione con la posizione del genitore, visto che la propria posizione (ci vorrei tanto andare) sfocia in un senso di impotenza (non ci posso andare) e un po' togliere valore al potere del genitore che dice no, un po' come dire "non mi fai male". Il processo che ci porta alla gestione della frustrazione e della rabbia e delle emozioni in generale è lungo, faticoso e non finisce mai... Sarebbe bello riuscire sempre a comunicare a nostro figlio che ci siamo, che sopravviveremo alla sua rabbia, che non deve sentirsi in colpa dopo, che siamo lì per contenerla, spesso basta un abbraccio, un sorriso per cambiare pagina, per interrompere il copione, molte altre volte non basta...
ci si prova...
un abbraccio

Anonimo ha detto...

vero, l'oblio del dolore non agisce solo sul ricordo del parto.

quando ero bambina ricordo che certe volte, quando ce l'avevo con mia madre e volevo "punirla" perché non si sforzava di capirmi ma cercava di imporre a tutti i costi la sua autorità ed il suo punto di vista, ho addirittura desiderato la sua morte. ora che il nostro rapporto è rifiorito avverto un dolore allo stomaco se ripenso a quei momenti.
chissà inoltre se saprò "accettarli" da madre...
mammasidiventa.ilcannocchiale.it

Mamma Cattiva ha detto...

Grazie per quello che scrivete.

@perdiquasole - sono davvero impressionata dalla tua analisi.

Credo che questo momento di dialogo su questi temi abbia un peso e la prossima volta che vivremo queste situazioni non potremo non considerare le parole scambiate.
@mammasidiventa - Non credi che se un giorno ti capiterà come madre non ricorderai cosa pensasti da figlia e quindi capirai di più e gestirai meglio la frustrazione?

Io sono convinta di sì. Quel sabato non ne sono uscita non dispiaciuta, non vorrei che fosse uscito questo, ma mi sono sentita più padrona della mia impulsività, quella che avrebbe fatto andare fuori tema le mie emozioni. Invece di colpevolizzarmi mi sono spostata su di lui.
Grazie ancora a tutte perché mi avete stupita.

Giuliana ha detto...

mio figlio l'ha fatto. una mattina, al mare. dovevamo tornare a casa e lui non lo poteva sopportare. ha preso i suoi 6 anni non ancora compiuti, li caricati nei suoi sandali di decathlon un po' sbucciati e ha preso il cancello (quello proibito, perché dopo c'è la strada), verso il mare. l'ho seguito, a distanza, senza chiamarlo. si sarà allontanato di 200 metri. mi sono sembrati 2 chilometri, perché dentro c'era anche il mio dispiacere, la consapevolezza che dal giorno dopo sarebbe cambiato tutto (niente più spiaggia dove lui gioca con i suoi amici e noi leggiamo sotto l'ombrellone, niente più grigliate in terrazza, niente più camminate a cavallo, e soprattutto di nuovo papà che torna tardi dal lavoro, mamma nervosa che vorrebbe lavorare e invece fa dei disegni schifosi, agitati). a un certo punto si è fermato e si è girato indietro. mi ha visto ed è scoppiato a piangere. l'ho preso in braccio e mi pianto addosso un dispiacere profondissimo, totale. e siamo tornati a quella che sarebbe stata la nostra casa ancora solo per una mezz'ora.
confrontarmi con la mia mamma? neanche in un'altra vita.