
Circa due settimane fa mi sono beccata l'influenza. Un raffreddore gigante e picchi di febbre da cavallo che mi hanno obbligata a restare a letto durante la notte e a casa durante il giorno, ma sempre dietro al pensiero del lavoro e delle cose da fare. Sono convinta che la stanchezza fa la sua parte nell'abbassare le difese e farti crollare. L'occasione mi ha costretta ad andare dal mio medico curante, una dottoressa assegnatami da quando vivo a Bologna, dal lontano 1994. Ci sono andata con la coda tra le gambe perché mi sono presentata con i risultati di analisi fatte in marzo e mai più lette. Mi sono presentata con un livello di stress smisurato per cui lei mi ha subito detto: "si sieda e parliamone".
Questo medico per me è sempre stato un po' speciale. In un momento critico della mia vita è stata inspiegabilmente partecipe, oltre il normale supporto che ti aspetteresti dal medico generico. E l'ho giustificata pensando che fosse un caso fortunato, uno di quegli angeli custodi che compaiono sulla strada e si prendono cura di te. Anche questa volta mi ha dato massimo supporto. Le ho raccontato dei cambiamenti, della complicata organizzazione familiare, di come mi sentivo e come sempre abbiamo condiviso dei pensieri importanti. Poi però si è svelata. Mi ha detto una di quelle cose che ogni tanto una persona qualunque riesce a dirti fermando la tua attenzione e facendo la differenza. Mi ha spiegato il perché fosse sempre stata così attenta alle mie sorti. Mi ha detto di aver accolto con grande gioia, anni prima, la mia rivincita sulla vita perché la vedeva come una rinascita, un'occasione di riscatto, la stessa che stava vivendo lei con una seconda occasione sentimentale.
Ecco perché. Tifava per me, tifando per se stessa. Poi ha continuato e ha aggiunto che nell'osservarmi, nonostante avessi fatto dei passi da gigante, avessi trovato la mia strada in autonomia e poi arrivati i miei bambini, lei non avesse mai notato la mia capacità "di godermi la vita".
Quando ha detto questa cosa si è fermato il tempo, è partita una specie di moviola e mi sono vista dall'esterno e ho capito che aveva ragione, terribilmente ragione. Altre persone stanno provando a dirmelo in queste circostanze: i miei con estrema apprensione, il doc con un po' di esasperazione, le mie amiche di sempre che mi conoscono da troppo tempo e hanno le prove di questa osservazione, persone giunte da poco nella mia vita che però hanno già percepito questo approccio alla vita. Come se fossi incapace di fermarmi e gioire, prendere le cose con leggerezza e godere.
Le illuminazioni sono delle pietre miliari nella vita. Non sempre mettono radici ma è probabile che ti diano una spinta in avanti.
Il dottore ha fatto degli esempi pratici: "Mamma Cattiva, ma si goda questa nuova esperienza! Sorrida ai nuovi incontri, alle trasferte, alla casa da single dal lunedì al venerdì. I suoi bambini stanno bene e si stanno godendo una relazione esclusiva con il loro papà. Per una volta faccia lei il babbo che torna a casa e porta i regali". Non sobbalziamo. Ha ragione. Io devo tornare serena, devo portare in regalo il mio sorriso e non una rabbia ingiustificata per il semplice fatto di non riuscire ad essere ovunque. Devo girare l'interruttore sul classico "take it easy", anche quando semplice non è.
Dopo un'intera ora di conversazione mi ha prescritto dei medicinali e poi ci siamo accorte che non avevamo ancora guardato le analisi.