La ricetta che voglio liberare mi ricorda quelle sere in cui ho voglia di cibo etnico. Quando abitavo a Bologna andavo in zona universitaria, in via centotrecento, dove preparavano ottimo cibo palestinese e dove ho scoperto, non so più quanti anni fa, i falafel.
Questa la ricetta:
500 gr di fave crude (io ho usato quelle secche, lasciate in ammollo durante la notte)
1 cipolla
1 limone spremuto
1 cucchiaio colmo di prezzemolo
basilico
pizzico di sesamo
pizzico di cumino (io non lo uso perché non mi piace)
2 cucchiai e 1/2 di farina
1 spicchio di aglio
1 pizzico di lievito per torte salate
sale q.b.
farina per infarinare
olio per friggere
Procedimento: frullare le fave crude con tutti gli ingredienti tranne farina e lievito. Amalgamare poi la farina fino ad ottenere una certa consistenza. Lasciare riposare per mezz'ora. Verificare la consistenza. Aggiungere il lievito. Fare le polpette e lasciare riposare mezz'ora in frigo. Infarinare e friggere.
Sono ottime servite con pane arabo, insalatina e pomodori.
Ma non è tutto. Questo momento di festa e di condivisione è diventato anche un momento di solidarietà. Siamo stati infatti invitati a donare l'equivalente della spesa per il piatto a sostegno della mensa per i rifugiati gestita dal Centro Astalli di Roma. In questo modo inviteremo a tavola con noi, virtualmente, anche una persona che è dovuta scappare dal suo Paese per fuggire alla guerra e alla persecuzione e che qui in Italia deve ricominciare da zero.
Non è affatto casuale la decisione di ricominciare a scrivere in questa occasione. Il motivo sta dietro a una parola che mi ha insegnato Chiara Peri, in uno dei tanti messaggi di sostegno che mi ha mandato in alcuni momenti bui del mio percorso di ricerca. La parola magica è "resilienza", dal latino resiliens, utilizzata in vari contesti per esprimere genericamente la capacità di affrontare e superare le avversità.
Chiara però me l'ha passata nell'ambito del suo lavoro con i rifugiati, dove ha riscoperto la sua fiducia nella capacità di recupero. Non significava banalmente "guardare chi sta peggio" (alzi la mano chi ci crede) bensì capire in prima persona che la reazione ai traumi "non è necessariamente quella che ci aspettiamo e che prevederemmo". Chiara mi ha raccontato il conforto ricevuto davanti alle facce di tanta gente qualsiasi che ce l'ha fatta, uscita da situazioni che schianterebbero chiunque. "Senza essere eroi, senza aiuti particolari". Sembra che alcuni le abbiano proprio raccontato che "a un certo punto capita che ne sei fuori, che la vita è andata avanti e non sai neanche bene come".
E per lei anche io avrei raggiunto quel momento. Non si sbagliava.
Le persone resilienti sono persone ottimiste, che trasformano un ostacolo in una opportunità di crescita e cambiamento. Sono persone estremamente creative che si guardano sempre in avanti. La paura diventa energia. Gli ostacoli dettagli di un disegno che sapremo leggere solo qualche passo più avanti.
Questa ricetta la regalo a chi legge. Non è di mia proprietà, è solo parte della mia quotidianità: per questo la lascio liberamente andare per il web