giovedì 24 giugno 2010
Mode: Play ma poi di nuovo Pause
Tempo fa me la dedicò Flavia e stasera la recupero volentieri e sottolineo, come quando leggo un libro con la matita in mano e scavo e faccio i buchi con la punta. E passo la staffetta a Paola, perché, sempre dalla voce di Jack Folla:
"Un uomo solo che guarda il muro è un uomo solo. Ma due uomini che guardano il muro è il principio di un'evasione"
Donne in rinascita [Diego Cugia]
Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita. Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita!
No, finita mai, per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.
Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti fa la morte o la malattia.
Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l'esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai
se sei all'altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai.
E sei tu che lo fai durare.
Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo;
che sei terrorizzata che una storia ti tolga l'aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.
Sei stanca: c'è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.
Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre:
"Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così".
E il cielo si abbassa di un altro palmo.
Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere, ci hai abitato Natale e Pasqua.
In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima;
ed è passato tanto tempo, e ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata, ora sei qui e so che c'è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi. E hai pianto.
Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d'acqua nello stomaco.
Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.
Così, improvvisamente.
Non potevi trattenerlo.
E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l'aria buia ti asciugasse le guance?
E poi hai scavato, hai parlato.
Quanto parlate, ragazze! Lacrime e parole.
Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore.
"Perché faccio così?
Com'è che ripeto sempre lo stesso schema?
Sono forse pazza?"
Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli.
Un puzzle inestricabile.
Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai.
Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.
Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova TE.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima.
Prima della ruspa.
Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.
Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere. Ma quando va, va in corsa. E' un'avventura, ricostruire se stesse. La più grande.
Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.
Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo "sono nuova" con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo biondo.
Perché tutti devono capire e vedere:
"Attenti: il cantiere è aperto. Stiamo lavorando anche per voi. Ma soprattutto per noi stesse".
Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.
E' la primavera a novembre. Quando meno te l'aspetti.
[Podcast di Fabio Volo]
Mode : Pause
Sono in pausa di riflessione, senza sapere a cosa porterà. Ci sono cose che sei obbligato a fare, altre anche no.
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Solitudine
domenica 13 giugno 2010
Conversazioni mimetiche
"MC, che bella questa maglietta!"
"Sì, Leo, è carina."
"MC, è una maglietta da caccia."
"Bè, sì, volendo…è anche una maglietta da soldato."
"Nooooo, è una maglietta da caccia e mi piace molto."
"Ok. Ma Leo cosa significa una maglietta da caccia?
"…è la maglietta del cacciato(r)e quello che uccide il lep(r)ottino…" (ndr relazione suggerita da "Aiuto, aiuto per carità, un cacciatore, mi vuol sparar. Vieni vieni leprottino, dammi la tua man", Là nel bosco c'è una casetta)
"Sì, il cacciatore è quello che uccide gli animali. Ma ti piace che il cacciatore uccida gli animali?"
"No, non mi piace...Ma, MC, ma pe(r)ché questa è una maglietta da caccia?"
"Come perché, l'hai detto tu che questa è una maglietta da caccia…comunque è il suo colore, è una maglietta mimetica."
"MI-ME-TI-CA…cioè?"
"Mimetica, chi si mimetizza. Hai presente il libro del camaleonte? Cosa faceva il camaleonte?"
"Cambiava colo(r)e?"
"E perché lo faceva?"
"Per difende(r)si dagli alt(r)i."
"Ecco. Precisamente. La stessa cosa fanno i cacciatori o i soldati per nascondersi tra le foglie del bosco e non farsi vedere."
"Ho capito…"
"Sai però che potresti fare il cacciatore anche senza ucciderli, gli animali?"
"E come MC?"
"Invece di un fucile potresti prendere una macchina fotografica e provare a fare loro delle foto senza farti vedere. Allora potresti usare lo stesso la tua maglietta"
"Ma tu vieni con me?"
"Certo tesoro. A fare foto sicuramente e a viaggiare vengo dove vuoi. E con una maglietta blu andiamo a vedere le balene".
Per un amante degli animali questa conversazione fa buchi da tutte le parti ma almeno sono riuscita a togliere l'attenzione dalle armi. Quello era il mio scopo.
E adesso venite a dirmi che sono meglio gli "ue, ue" dei neonati.
"Sì, Leo, è carina."
"MC, è una maglietta da caccia."
"Bè, sì, volendo…è anche una maglietta da soldato."
"Nooooo, è una maglietta da caccia e mi piace molto."
"Ok. Ma Leo cosa significa una maglietta da caccia?
"…è la maglietta del cacciato(r)e quello che uccide il lep(r)ottino…" (ndr relazione suggerita da "Aiuto, aiuto per carità, un cacciatore, mi vuol sparar. Vieni vieni leprottino, dammi la tua man", Là nel bosco c'è una casetta)
"Sì, il cacciatore è quello che uccide gli animali. Ma ti piace che il cacciatore uccida gli animali?"
"No, non mi piace...Ma, MC, ma pe(r)ché questa è una maglietta da caccia?"
"Come perché, l'hai detto tu che questa è una maglietta da caccia…comunque è il suo colore, è una maglietta mimetica."
"MI-ME-TI-CA…cioè?"
"Mimetica, chi si mimetizza. Hai presente il libro del camaleonte? Cosa faceva il camaleonte?"
"Cambiava colo(r)e?"
"E perché lo faceva?"
"Per difende(r)si dagli alt(r)i."
"Ecco. Precisamente. La stessa cosa fanno i cacciatori o i soldati per nascondersi tra le foglie del bosco e non farsi vedere."
"Ho capito…"
"Sai però che potresti fare il cacciatore anche senza ucciderli, gli animali?"
"E come MC?"
"Invece di un fucile potresti prendere una macchina fotografica e provare a fare loro delle foto senza farti vedere. Allora potresti usare lo stesso la tua maglietta"
"Ma tu vieni con me?"
"Certo tesoro. A fare foto sicuramente e a viaggiare vengo dove vuoi. E con una maglietta blu andiamo a vedere le balene".
Per un amante degli animali questa conversazione fa buchi da tutte le parti ma almeno sono riuscita a togliere l'attenzione dalle armi. Quello era il mio scopo.
E adesso venite a dirmi che sono meglio gli "ue, ue" dei neonati.
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conversazioni
domenica 6 giugno 2010
Quello che gli invidiosi non dicono
Se c'è un buon esercizio per capire i propri limiti è quello di affrontarli, viverli in prima persona e magari prenderli per le corna: per capire se questi limiti sono reali o solo immaginati. E una domanda che spesso mi pongo è "ma io sono una persona invidiosa?" Una di quelle che sentono lo stomaco rattrappirsi quando osservano una persona che ha di più o magari è di più? Trovo umano chiederselo prima ancora di dichiarare con estrema sicurezza "io sono incapace di provare il sentimento dell'invidia". Diciamo che tendo a diffidare di chi dichiara con clamore il proprio "io mai".
Mettermi alla prova significa quindi espormi di fronte a chi apparentemente sembra aver realizzato più desideri dei miei. Mi ci tuffo e mi ascolto.
I risultati sono variabili. Ci sono stati momenti particolarmente fragili in cui ho desiderato intensamente essere nei panni di qualcun altro, tutto fuorché me stessa e più che di invidia parlerei di desiderio di fuga, tale da scegliere di essere un altro invece che scappare in un altro luogo. Quando invece sto bene con me stessa l'esperimento non solo mi fortifica ma mi fa godere del successo dell'altro.
E' il caso ultimo provato con un'amica (così mi piace pensare che sia) e culminato nella lettura di Quello che le mamme non dicono di Chiara C. Santamaria, per la blogosfera Wonderland.
Seguo Chiara da tanto tempo e ho sempre fatto il tifo per lei. Scelsi di leggere e seguire il suo blog Machedavvero per lo stesso motivo per cui nei momenti di "allergia" alla maternità decisi di schivare tutti i forum di mamme, i libri seri di pedagogia e le persone che si prendevano troppo sul serio. Mi bastavo io per quello. Un motivo molto semplice: Wonder mi faceva morire dal ridere. Eppure nel tempo ho scoperto che sa essere anche terribilmente seria: nella pittura di certe situazioni vere e concrete della vita quotidiana di una mamma, nell'esternazione di sentimenti spinosi da riconoscere. E poi ho avuto la fortuna di conoscerla personalmente, prima che si svelasse con il lancio del suo primo libro e la cosa più sorprendente è stata la dolcezza della sua timidezza, così spiazzante rispetto alla sfrontatezza delle parole scritte. Pensi che abbia una ghost writer, una doppia personalità e invece è solo una delle sue dimensioni. L'unica cosa che non mi ha sorpreso è la sua bellezza, quella te l'aspetti e quella arriva come te la immaginavi.
Il libro lo puoi leggere in tempi brevi ma io l'ho dovuto fare nel mio tempo rubato alle ventiquattro ore troppo piene. E' scritto molto bene. Non butterei una sola riga e raggiunge il suo vero significato alla fine. Alla fine ho capito molte cose di Chiara e anche di me. Ho capito quanto fossimo simili nonostante ci separino diversi anni. Leitmotif della sua storia sembra essere proprio l'età come se quella fosse la colpa, tutta la colpa delle sue vicissitudini. Io invece penso che non sia una questione di età, perché io i miei figli li ho avuti oltre i 35, li ho anche cercati ma ho provato, provo gli stessi scossoni, dubbi e rimpianti. Il libro mi ha riportato a quei giorni, comici e tragici allo stesso tempo, alla mia solitudine, alla mia ricerca dell'istinto materno, al mio costante ripensare a quello che avevo prima: la libertà di essere egoista. Lo dico senza vergogna. Ho riso ma ho anche pianto perché mi ci sono identificata.
Ieri ho rivisto Chiara al Momcamp a Milano dove siamo state tutte prese da brevi contatti e rara intensità, se non alla fine, proprio come nel libro. Quando il sipario doveva scendere abbiamo iniziato a parlare delle cose più importanti e di quelle che ci interessano di più. In quel momento, Chiara mi ha raggiunta, si è seduta accanto a me e con i suoi occhi liquidi mi ha chiesto se si sarebbe dovuta arrendere, se per avere il tempo di stare insieme a Viola avrebbe dovuto rinunciare a rincorrere il suo desiderio di un lavoro appagante, che ti riempie le giornate e ti fa vedere persone stimolanti. Le avrei voluto rispondere e parlare per altre due ore e invece ho accrocchiato due parole in croce, scossa dalla mia incapacità a trovare risposte ai miei stessi dubbi.
Perché rispondere non è per niente semplice, perché non c'è una sola risposta. Perché non c'è una risposta definitiva. Stasera le risponderei di continuare così, di rimettersi in gioco oltre ogni limite perché con sua figlia sta facendo un lavoro grandioso e che realizzare i propri sogni rende felici anche i nostri figli. Che c'è sempre tempo per ridimensionare le cose, per accorgersi che si sta esagerando e per farsi aiutare, a turno, da tutti coloro che hanno responsabilità nella vita della tua famiglia. Sono convinta che non dobbiamo mai arrenderci e dobbiamo imparare ad interpretare i suggerimenti alle prossime mosse.
Mettermi alla prova significa quindi espormi di fronte a chi apparentemente sembra aver realizzato più desideri dei miei. Mi ci tuffo e mi ascolto.
I risultati sono variabili. Ci sono stati momenti particolarmente fragili in cui ho desiderato intensamente essere nei panni di qualcun altro, tutto fuorché me stessa e più che di invidia parlerei di desiderio di fuga, tale da scegliere di essere un altro invece che scappare in un altro luogo. Quando invece sto bene con me stessa l'esperimento non solo mi fortifica ma mi fa godere del successo dell'altro.
E' il caso ultimo provato con un'amica (così mi piace pensare che sia) e culminato nella lettura di Quello che le mamme non dicono di Chiara C. Santamaria, per la blogosfera Wonderland.
Seguo Chiara da tanto tempo e ho sempre fatto il tifo per lei. Scelsi di leggere e seguire il suo blog Machedavvero per lo stesso motivo per cui nei momenti di "allergia" alla maternità decisi di schivare tutti i forum di mamme, i libri seri di pedagogia e le persone che si prendevano troppo sul serio. Mi bastavo io per quello. Un motivo molto semplice: Wonder mi faceva morire dal ridere. Eppure nel tempo ho scoperto che sa essere anche terribilmente seria: nella pittura di certe situazioni vere e concrete della vita quotidiana di una mamma, nell'esternazione di sentimenti spinosi da riconoscere. E poi ho avuto la fortuna di conoscerla personalmente, prima che si svelasse con il lancio del suo primo libro e la cosa più sorprendente è stata la dolcezza della sua timidezza, così spiazzante rispetto alla sfrontatezza delle parole scritte. Pensi che abbia una ghost writer, una doppia personalità e invece è solo una delle sue dimensioni. L'unica cosa che non mi ha sorpreso è la sua bellezza, quella te l'aspetti e quella arriva come te la immaginavi.
Il libro lo puoi leggere in tempi brevi ma io l'ho dovuto fare nel mio tempo rubato alle ventiquattro ore troppo piene. E' scritto molto bene. Non butterei una sola riga e raggiunge il suo vero significato alla fine. Alla fine ho capito molte cose di Chiara e anche di me. Ho capito quanto fossimo simili nonostante ci separino diversi anni. Leitmotif della sua storia sembra essere proprio l'età come se quella fosse la colpa, tutta la colpa delle sue vicissitudini. Io invece penso che non sia una questione di età, perché io i miei figli li ho avuti oltre i 35, li ho anche cercati ma ho provato, provo gli stessi scossoni, dubbi e rimpianti. Il libro mi ha riportato a quei giorni, comici e tragici allo stesso tempo, alla mia solitudine, alla mia ricerca dell'istinto materno, al mio costante ripensare a quello che avevo prima: la libertà di essere egoista. Lo dico senza vergogna. Ho riso ma ho anche pianto perché mi ci sono identificata.
Ieri ho rivisto Chiara al Momcamp a Milano dove siamo state tutte prese da brevi contatti e rara intensità, se non alla fine, proprio come nel libro. Quando il sipario doveva scendere abbiamo iniziato a parlare delle cose più importanti e di quelle che ci interessano di più. In quel momento, Chiara mi ha raggiunta, si è seduta accanto a me e con i suoi occhi liquidi mi ha chiesto se si sarebbe dovuta arrendere, se per avere il tempo di stare insieme a Viola avrebbe dovuto rinunciare a rincorrere il suo desiderio di un lavoro appagante, che ti riempie le giornate e ti fa vedere persone stimolanti. Le avrei voluto rispondere e parlare per altre due ore e invece ho accrocchiato due parole in croce, scossa dalla mia incapacità a trovare risposte ai miei stessi dubbi.
Perché rispondere non è per niente semplice, perché non c'è una sola risposta. Perché non c'è una risposta definitiva. Stasera le risponderei di continuare così, di rimettersi in gioco oltre ogni limite perché con sua figlia sta facendo un lavoro grandioso e che realizzare i propri sogni rende felici anche i nostri figli. Che c'è sempre tempo per ridimensionare le cose, per accorgersi che si sta esagerando e per farsi aiutare, a turno, da tutti coloro che hanno responsabilità nella vita della tua famiglia. Sono convinta che non dobbiamo mai arrenderci e dobbiamo imparare ad interpretare i suggerimenti alle prossime mosse.
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