venerdì 31 luglio 2009

Il tango degli addii

Avete letto bene: il "tango" e volutamente non il più noto "valzer", nonostante sia una profonda stimatrice di Kundera e abbia malinconicamente assorbito molti suoi scritti in età adolescenziale.

Scavi, scavi e i perché di una mamma cattiva emergono prepotentemente.

Dicevo un tango più emozionante e vibrante che ho ballato oggi, si fa per dire, nell'ultimo giorno di lavoro. Ricordate le mie dimissioni?

Ho visto arrivare questa giornata da lontano, da quando mi ero messa in testa di attuare un cambiamento, da quando poi qualcosa è successo, da quando, finita la scuola materna a fine giugno, ho trasferito Leo al nido di Picca, nel caldo asfissiante della città, con i richiami intorno di tanti coloro che riescono a portare i figli in vacanza molto prima.

Che poi venga rassicurata o meno da altri messi come me, da voi o da me stessa, è stato faticoso portarli in un luogo urbano e monotono. E' stato penoso tornare a casa e trovare il mio Leo parlante che mi implorava di preparare la valigia e dietro sua sorella a fare l'eco delle ultime sillabe: "igia", "igia".

Dopo due, tre giorni che lo faceva mi sono attrezzata. Ho stampato un calendario di luglio e gli ho proposto il gioco delle crocette. Ogni sera avremmo cancellato i giorni mancanti. Abbiamo disegnato il giorno della valigia e il giorno ultimo con la nave. I sabati e le domeniche erano rossi e niente scuola. L'ordine da seguire era come quello dei vagoni di un treno. Me la sono cavata con poco. Ogni sera sembrava l'impegno di andare a votare e se mai capitava di dimenticarlo, me lo ritrovavo alla porta: "MC, la c"r"ocetta, non abbiamo messo la C"R"OCETTA!"

Vi ci ho portati da lontano ma oggi ci siamo. Le crocette scarabocchio sono state diligentemente smarcate e domattina sul calendario dell'avvento estivo rimarrà il disegnetto della nave che ci porterà al mare.

Ma oggi, narravo, è stato anche l'ultimo giorno di lavoro a chiusura di un'esperienza intensa e determinante di undici lunghi anni. Ho scritto qualche email per salutare, dei messaggi più personali ad alcune persone chiave, mi sono fermata nei corridoi a parlare, sempre con l'ansia di correre e finire chissà, oramai, quale compito e all'ora di pranzo il rito del brindisi. Chiamare le persone non è stato semplice perché in undici anni conosci praticamente quasi tutti e ci sono anche quelli nuovi che conosci da poco ma con cui hai già iniziato un percorso. Ho chiamato alla fine tutti. Ho pensato: "se ne hanno voglia passeranno, se potranno passeranno, che sia quel che sia".
Undici anni si sentono tutti e con incredibile sorpresa sono venuti in tanti.

Tanti mi hanno mandato degli auguri, dei messaggi di stima e non ho resistito, li ho copiati e incollati tutti insieme e li ho infilati in una Wordle, una nuvola di parole.

Dicasi "Wordle" una nuvoletta di parole chiave ricorrenti che, in funzione della loro frequenza in un testo, si mostrano invisibili, piccole piccole, grandi, enormi e ti suggeriscono il peso di quelle parole, la loro importanza.

Strano ma una "tag cloud" ha un discreto potere evocativo.



[Wordle costruito con many eyes beta for shared visualization and discovery]

A questo punto non mi resta che salutarvi per un po'. Sono attrezzata per leggervi quindi non sparisco nel nulla ma, sicuramente, c'è "always on" e "always on".

Chiudo con un rimando alla poesia Lentamente muore (attribuita erroneamente a Pablo Neruda e che invece appartiene a una scrittrice brasiliana degli anni '60 Martha Medeiros), dedicatami dal mio gruppo di lavoro più stretto, quello con cui ho condiviso gioie e dolori. Loro non sanno che tra le varie poche cose portate via c'è proprio una vecchia stampata della stessa che tenevo nel cassetto. Evidentemente ci hanno visto lungo.

Grazie ragazzi. Sono i contenuti e la sostanza quello che volevate passarmi.

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

[Martha Medeiros]

martedì 28 luglio 2009

I colori delle bici

Seguo a ruota il post precedente per narrare una spontanea conversazione tra MC e Leo.

Le conversazioni con i bambini a volte mi riconciliano con il mestiere di mamma, anche se cattiva.

"Mamma Cattiva?"


"Dimmi, Leo".


"Mamma, io adesso comp(r)o una bici per Picca. Comp(r)o una bici (r)osa."


"Davvero?"

"Davve(r)o."

"E perché vorresti comprarla rosa?"


"Pe(r)ché sì!"

A questo punto il mio tono tende sempre un po' ad incrinarsi perché, imparerete a capirlo, io cado facilmente nel cliché di innervosirmi a priori non appena inizio ad ascoltare i cliché sessisti legati a colori e a cose molto più serie dei colori.

"Perché rosa, Leo? Perché non la compriamo invece di un altro colore. Magari verde, gialla o BIANCA, come la tua?"

A questo punto Leo punta sempre lo sguardo verso il cielo come se la risposta non fosse dentro di lui ma sulle stelle.

"Pe(r)ché...pe(r)ché Picca è...Picca è...una BAL-LE-(R)I-NA!"


"Una ballerina! Bene Leo. Mi hai convinta!"

...

"Anche a te la cop(r)o "r"osa..."


"Anche a me...alé, la fiera del rosa. E perché anche a me rosa?"

Ecco ci siamo. Ci siamo. Me lo sento.

"Pe(r)ché anche tu sei una balle(r)ina."


Non siamo esattamente dove vorrei ma c'è di peggio.

domenica 26 luglio 2009

Hai voluto la bicicletta? Sì, ma i pedali?

Darei quasi per scontato che tra le competenze obbligatorie da acquisire fin da piccoli, insieme all'uso della parola, il controllo degli sfinteri e poi leggere e scrivere, si siano affermate nel tempo il saper nuotare e andare in bicicletta. Avete mai avuto il dubbio che i vostri figli dovessero o meno imparare a rimanere a galla o a pedalare?
Da qui i numerosi ricordi legati alla nostra prima esperienza di galleggiamento al mare o in piscina piuttosto che all'emozione di rimanere in equilibrio sulle due ruote.

Per quel che mi riguarda i ricordi legati ai primi momenti in acqua sono drammatici. So nuotare ma ho indiscutibilmente paura e solo da relativamente poco sono in pace con questa consapevolezza. Con la bicicletta invece è andata decisamente meglio ed è indelebile in me quella sensazione di massimo equilibrio provata intorno ai quattro anni in estate al campeggio, incoraggiata da un amico di mio fratello. No, non sono stati né i miei, né i miei fratelli ad insegnarmelo.

Recentemente ho letto dei post divertenti sull'apprendimento della bici: Flavia ci ha raccontato della prima di Pezzetto o Desian, che sono felice di citare tra i papà blogger, conosciuto personalmente al MAM, ne ha fatto un pezzo da lacrima.

Mi aggancio dunque alla frequenza di voci sull'argomento (per il nuoto ci sarà altra occasione, forse) per condividere una serie di riflessioni personali, tendenti al pragmatico.

Come tutte le mamme, ci tengo che i miei bimbi imparino ad andare i bici, non tanto perché "così fan tutti" quanto per il banale motivo che lo trovo "divertente". Saper andare in bici ti permette di andare a fare e vedere cose che altri modi non ti permettono: ti rende libero di scegliere di farlo in piena solitudine piuttosto che in affollate scampagnate; puoi scegliere tra la versione estrema e la versione lenta e riflessiva; può essere sofisticato e costoso oppure ecologico ed economico. Meglio sempre avere la possibilità, sapendolo fare, di dire "vado o vengo pure io" piuttosto che "detesto pedalare, no, grazie".

C'è stato quindi anche per me il fatidico momento in cui mi sono chiesta: "quale bici compro al primo, che poi magari mi porto dietro per la seconda?". E soprattutto: "seguo il classico percorso con rotelle prima/senza rotelle poi e via pedalare?". Penserete: "perché esistono alternative a questo percorso?".

La risposta me l'ha data una mia amica che un giorno mi racconta della sua esperienza con la bici senza pedali. "Senza pedali? E come funziona una bici senza pedali?" La mia amica me lo spiega, me la mostra anche, ma, onestamente, non ne riesco ad afferrare la logica. L'unica cosa che mi rimane negli interstizi del pensiero è che questa modalità va per la maggiore nei paesi nordici ed io, un po' per fanatismo esterofilo, mi lascio sempre un po' abbindolare dai richiami del Nord-Europa. Google mi assiste e scopro che dietro alla bici senza pedali c'è un mondo e ci decidiamo, nonostante l'enorme punto interrogativo sulla resa finale, a regalarla a Leo.

Da diversi mesi ne facciamo uso e sono quindi in grado di narrarne la scelta.

Chiarisco subito un aspetto: la bici non ha i pedali solo inizialmente. Lo scopo è saltare le rotelle e imparare il senso dell'equilibrio per arrivare a montare gli ambiti pedali. E poi via, il vento sulla faccia!

Il primo grosso dubbio che dovevo togliermi riguardava il divertimento di Leo. Può un bimbo divertirsi con una bici senza pedali? Chissà perché, nel mio immaginario ero fermamente convinta che la cosa attraente del mezzo fosse il pedalare. Ma ho capito che non lo è quando devi imparare a restare in equilibrio.


Quello che ho capito, osservando il piccoletto all'opera, è che senza pedali e senza rotelle il bimbo è tutto preso dal controllo del mezzo: guarda istintivamente avanti o in basso e tiene i piedi fermi sulla terra quando, in discesa, prende la prima velocità. Con le rotelle l'effetto è viziante. Con un supporto che tiene il mezzo per forza dritto, si sente libero di guardarsi intorno e di muovere il manubrio a vanvera. Pedala, certo, ma mentre lo fa ti parla, si gira indietro, non mette mai i piedi a terra per fermarsi. L'istinto a usare la leva del freno viene in un momento successivo. E Leo si diverte un mondo. L'ho potuto capire solo dal vivo. In poche ore ha acquisito un'agilità che sinceramente non vedo neanche quando cammina e, per quanto ancora non ci decidiamo a montare i pedali, in questo momento per lui andare in bici è questo. Ha capito che quando arriva una discesa può mollare i piedi e immagino che sarà la stesso equilibrio che lo porterà a saper pedalare.

Non credo che questa modalità sia migliore della più frequente da noi (tutti prima o poi ci arriviamo e chissene frega come) ma, toltomi questo sfizio, avevo voglia di raccontarlo. Anche perché, qualche settimana fa, collegata al faccialibro di turno, mi sono imbattuta in qualche foto della mia amica influenzatrice con suo figlio su una bici con le rotelle e la cosa mi ha un po' turbata.
Obbligatorio sarà chiederle il perché. Magari la risposta è che "Così fan tutti".

Parlano delle biciclette senza pedali:
Smamma
Yummy Mummy
Bebé Blog
1, 2, 3...Stella!

domenica 19 luglio 2009

La voce narrante lascia il posto alla musica

Le giornate sono isteriche. Volano come se avessero loro stesse fretta di scorrere veloci e arrivare dritte alla meta delle vacanze.

Nonostante l'incapacità di fermarmi a pensare e ad ascoltare, le voci non smettono mai di bisbigliare, di invadere il campo, di intrufolarsi di nascosto.

Questa settimana sono così esaurita che le sento anche nei blog che seguo. Qua e là mi sembra di percepire i soliti luoghi comuni su chi siamo e cosa dovremmo essere.
Sono stanca, solo immensamente stanca.

Quando mi sento così mi preoccupo per la qualità del tempo che passo con la mia famiglia, ma trovo delle soluzioni chiudendomi la porta alle spalle, sfilandomi le scarpe e sedendomi con loro sul tappeto bollente (ma che caldo fa? Maledizione!) e accendo una musica, una di quelle che mette d'accordo tutti.

Ma che musica! Con CD Audio Con questo post ne accendo una serie per condividere alcuni miei usi e costumi.

Questo libricino, grande quanto il CD musicale che vi si nasconde, non è cosa nuova (2007), ma quando i bambini prendono posto nella nostra vita ci ritroviamo esploratori di mondi mai osservati prima e scoviamo creazioni mai tenute in considerazione nella vita precedente. Almeno per me è così.

Questo libricino (a cura di Andrea Apostoli), le sue illustrazioni (di Alexandra Dufey) e la musica allegata, brani di classica e jazz, non è neanche particolarmente bello ma fa bene il suo mestiere e i miei bimbi lo apprezzano molto. E per me è questo quello che conta.

Nella mia smania di indagare su tutto, leggo sulla copertina (e qualcosa al suo interno) che si basa sulla Music Learning Theory di Edwin E. Gordon. Premesso che, in generale, sono un po' allergica alle "learning theories" perché tendono ad innestare in noi mamme un'ansia da prestazione che onestamente va ad aggiungersi a tutte le altre, non nego che tendo ad avere un debole per l'uso degli stimoli musicali nell'intrattenimento delle creature. Mi sembra una modalità molto semplice, spontanea ed efficace per avere tutta la loro attenzione e quello sguardo molto riconoscente che pochi altri ci riservano.

I miei bimbi hanno solo 22 mesi di distanza ma sono già così diversi nei loro interessi, nei loro tempi di apprendimento, nel loro modo personale di giocare, eppure quando c'è la musica e magari delle parole in rima o delle storie cantate vanno d'amore e d'accordo e io mi sento nella posizione di dire e fare (cantare, anche se stonata) qualcosa di estremamente carismatico. In poche parole, la musica mi aiuta a fare qualcosa di buono.

Alla fine di questa settima abbasso la guardia e delego a lei il suo [porco] mestiere.

sabato 11 luglio 2009

Arrivano i mostri

Il rumore di sottofondo che mi ha accompagnato durante l'intero anno scolastico è stato: "E' inevitabile. Prima o poi cederai anche tu a Gormiti e Winx".

Ora, il tema Gormiti/Winx contro tutti, promotori da una parte e detrattori dall'altra, immagino, sia stato già ampliamente trattato. Probabilmente non dirò nulla di nuovo. Onestamente non lo so se prima o poi cederò. Il punto non è questo.

Il punto è che io ci ho provato a respingerli/e.

A Natale sono arrivati i primi due ma, trovandoci lontani da casa, con la scusa di selezionare il contenuto delle valige di ritorno, li ho volutamente lasciati fuori di casa. E nessuno se ne è accorto. Non ne ho mai comprati/e e non li ho mai regalati/e.

Mi sono documentata per capire di cosa effettivamente si trattasse perché, senza sapere chi fossero e da dove provenissero, ero prevenuta verso degli oggetti plasticoidi e mostruosi e verso i relativi bambini utilizzatori.

Non sono stata fortunata. Quelli che incrociavo con dei Gormiti in mano tendevano ad essere piuttosto aggressivi ed invadenti e soprattutto fortemente persuasivi nel "voglio il prossimo". Quelli (per onor della cronaca dovrei dire "quelle" visto che, ahimé, sembrano appartenere al solo mondo femminile) con le Winx avevano uno sguardo sveglio e furbetto, il rosa e la porporina argento prevalevano in vestiti e scarpe e, anche in questo caso, un atteggiamento senza dubbio "voglio e posso". Questa è un'osservazione statistica e piuttosto superficiale ma, in generale, ho vissuto questa esperienza.

Comunque per ammorbidire il pregiudizio ho cercato di capirli e ho scoperto che i Gormiti, infondo, hanno una storia tutto sommato abbastanza interessante: intanto li ha inventati un italiano e questo ci fa sempre onore, poi si tratta di personaggi mitologici e scenari di gioco complessi, dove regna sempre il distinguo tra il bene e il male. L'intreccio epico narrativo richiede un notevole sforzo mnemonico, quindi l'intento di partenza non può che essere lodevole. Le Winx, anche loro frutto dell'ingegno di uno studio italiano, sono tutto sommato delle fatine, forse un po' leziose ma pur sempre scudiere del bene e del valore dell'amicizia. Anche qui l'intento di partenza è meritorio.

Ribadisco, non è questo il punto.

Per quanto, nella fase di assoluta non scelta dei mie bambini, mi sono ostinata a tenerli/e fuori e a indirizzare, quando potevo, gli acquisti verso giochi che reputo più stimolanti nell'uso della fantasia, a un certo punto, i "mostri", senza neanche bussare alla porta, sono entrati.

Nella scuola materna di Leo, di cui ho già iniziato a parlare, dove Ms. Montessori in persona manda avanti programmi encomiabili e stimolanti, ogni venerdì si pratica una sorta di tombola win/win: tutti portano a casa qualcosa. I premi sono messi a disposizione dalle famiglie stesse (a me toccherà dall'anno prossimo).
Ogni venerdì Leo porta un nuovo trofeo. Fatevi il conto di quanti venerdì ci sono in un anno scolastico. Talvolta ho avuto il dubbio che un tal ben di dio fosse stato sapientemente trafugato da mio figlio a qualche ignaro bimbo, ma nessuna mamma ha mai reclamato nulla (come invece capita per cappotti e maglie scambiate), quindi immagino che sia stato realmente il frutto di un libero scambio.

Questa mattina mi è venuta l'idea (scopo anche mettere un po' di ordine) di andare a caccia di tutti gli intrusi ereditati da questa oscura sorgente esterna. Leo e Picca ne hanno scovati ovunque. Abbiamo selezionato i mostri, litigato per decidere chi fosse un mostro e chi no (io per esempio ho insistito per uno zoccolo olandese di gomma rosa fuxia che per Leo non apparteneva alla categoria mostro), arrangiato un set fotografico e clic. Il risultato, che non rende granché, è in testa al post.

Per concludere non ho intenzioni censorie nei confronti di questi e altri giochi. Quello che mi spaventa è l'effetto fiscale di questi fenomeni. Se cadi nella rete e perdi la lucidità, il controllo della domanda, rischi di investire una somma di denaro spropositata in oggetti seriali di plastica, che nulla lasciano all'immaginazione dei nostri bambini. In questo mi sento un po' nostalgica, ma va bene così.

mercoledì 8 luglio 2009

E ci si mette pure Nonna Cattiva

Non c’è dubbio che una Mamma Cattiva venga fuori da una Nonna Cattiva. Nella mia storia la NC è classe 1934. Fatevi i conti. Ci avviciniamo ai 75.

Ebbene questa NC è in grande forma, si prende cura di un marito classe 1929, molto acciaccato nel fisico, molto attivo con la parola. Provano a riposarsi, trascorsa una vita dedicata al lavoro e alla famiglia.

Come tutti i genitori hanno fatto tanti errori, il primo fra tutti quello di aver amato troppo i loro figli. I genitori spesso (non sempre) hanno il vizio di amare troppo i propri figli e questo li porta inevitabilmente a fare sempre la cosa sbagliata.

Bisognerebbe fare solo una cosa, se si ha la fortuna di raggiungere la vecchiaia in modo sopportabile: arrivare alla consapevolezza che si è fatto il possibile e che non tutto è dipeso dai noi, in qualità di genitori.

Ho volutamente semplificato questo traguardo perché, per quanto non sia stata una vita facile, la mia è una storia in attivo e vorrei che questi nonni iniziassero a riposarsi un po’.

Ora il caso vuole che questa NC sia sempre stata una sorta di geek degli anni 40.
A 18 (forse 21) anni chiede a suo padre di comprarle una Vespa. “Certo, figlia mia”, le risponde per poi presentarsi al compleanno con una piccola scatolina. “Ci sarà la chiave”, deve aver pensato la giovane donna. Nella scatola una spilla a forma di vespa. Ancora oggi nel raccontarlo vedi la scintilla di rabbia negli occhi. I suoi begli occhi verdi. A 21 prende la patente: non la B ma quella per guidare i camion del deposito dell’attività del padre.
Intorno ai 25-30 anni, già mamma di due figli, annoiata dal quotidiano casalingo, decide di imparare a suonare la chitarra. NC ama cantare, recitare, ballare. A NC piace esibirsi ma mai nessuno della sua famiglia le da’ soddisfazione. Così non disdegna un giro in parafly in un viaggio in Thailandia, frequenta corsi di danza afro-cubana e trascina i suoi figli in improbabili viaggi in roulotte in giro per l’Europa.
NC non si da’ mai per vinta. La vita la porta davanti a tante sfide, compreso il lavoro, intrapreso in tempi non previsti.

Una NC geek, per definizione, non si spaventa davanti alla tecnologia. Doma presto moderne lavatrici, asciugatrici, forni a micro-onde, lettori VHS, CD, DVD (rewind: NC ha pure inciso canzoni su vinile). Supera la prova del cellulare, padrona di SMS, MMS e T9. NC ha due cellulari. Onestamente non ho ancora capito perché.
NC, vagabondando tra tre diverse case in zona laziale, conversa via Skype con i quattro nipoti sparsi tra Stati Uniti e Bologna. NC non si lascia sfuggire internet e, marzo 2009, non resiste alla febbre di Facebook.

Conosco bene la mia mamma ma in questi giorni sono presa da mille novità e rumori aggiuntivi di sottofondo. E cosa va a capitare?

Capita che un giorno qualsiasi comunico su Facebook di aver partecipato a una prova prodotto. Ho aderito a questo test, in occasione del Momcamp, e il tutto si è concluso in una ripresa video, in cui fondamentalmente dichiaro che dei prodotti destinati alla regolarità intestinale sono, tutto sommato, buoni.
Il mio commento su FB è “Dopo Alessia Marcuzzi arriva Mamma Cattiva” (spirito spottistico di bassa lega). Mi sfugge un dettaglio chiave. Non l’ho raccontato alla mia mamma. Proprio a lei che mi voleva con un tutù sul palco, che voleva che facessi la modella, che è un po’ annoiata dalla vita da pensionata. E la mia mamma naviga in Facebook. Che guaio!
Ora, mi è arrivata voce, addirittura dagli Stati Uniti, che Nonna Cattiva è assai offesa. Che non è giusto essere solo il muro del pianto e mai la destinazione di belle notizie.

Ora, qualcuno mi aiuta a spiegarle che è stata una svista, che una breve ripresa su uno sgabello per parlare di un prodotto contro la stitichezza non è infondo un grande scoop, che sono fiera di lei perché non solo riesce a capire i social network (avete idea dell’intesa con il nipote adolescente?) ma riesce pure a trovare il mio blog e soprattutto a capirlo?

Dai su, Nonna Cattiva, fai la brava!

giovedì 2 luglio 2009

Il sapore delle dimissioni

Mamma Cattiva: Hai un momento che devo parlarti?

Lui, il capo: Un minuto...

Mamma Cattiva: Be' magari anche 5. (mi siedo)

Lui: Sei incinta?

Mamma Cattiva: ...Bè...no...veramente no...le donne fanno anche altre cose oltre ai bambini...

Lui: (sospiro di sollievo)

Mamma Cattiva: ...tipo cambiare lavoro...

Lui: ...cosa intendi scusa?...

Mamma Cattiva: sono qui per comunicarti che rassegnerò le mie dimissioni.

Lui: Ma cosa dici?

Mamma Cattiva: Sì, ci ho pensato molto bene.. Ho ponderato la cosa ma ho deciso di accettare una nuova opportunità.

Lui: Ma come ora che c'era un progetto importante? (N.d.MC. Il progetto importante sarebbe il normale contenuto del mio lavoro, un po’ come se al ciabattino sotto casa mia, che ultimamente lavora tutti i festivi e fino alle 22, gli venisse comunicato che entro l’anno ha l’importante obiettivo di riparare l’80% degli stivali del quartiere)

Mamma Cattiva: Bè...per me questo tipo di progetti sono all'ordine del giorno. Magari ho un'opportunità più importante, diversa e ho deciso di coglierla. Sai sono 11 anni che lavoro qui…

Lui: E come facciamo noi?

Mamma Cattiva: (c@ssi vostri....no, questo non l'ho detto) Mi spiace ma sono sicura che troverete una soluzione. Sono cose che succedono.

Lui:....

[]

Mamma Cattiva: Buongiorno Ragazzi, vi devo dare una big news?

Il Team: Sei incinta?

Mamma Cattiva: Ma no, dai, e che cavolo. Ma non avete altro per la mente? C’è che…(respiro profondo) ho dato le dimissioni.

Il Team: (stato di agitazione) Stai scherzando? E noi come facciamo?

Mamma Cattiva: (penso, vi voglio bene ragazzi che fingete di pensare che non ce la farete senza di me) Ce la farete come sempre. Il lavoro duro lo fate voi e siete giovani e forti (anche io però…)

Il Team: Se ci avessi detto che eri incinta (sarebbe il terzo, ma siete fuori?) saremmo stati meno preoccupati.

Mamma Cattiva: Io invece avrei fatto una valigia e abbandonato il tetto coniugale.

[]

Mamma Cattiva: Ehi, collega, sai cosa c’è di nuovo?

Collega: Hai comprato casa nuova?

Mamma Cattiva: (Finalmente qualcuno con un po’ più di fantasia…) No, macché, nulla di tutto questo.

Collega: Dai racconta. Cosa hai combinato?

Mamma Cattiva: Me ne vado. Cambio lavoro. Per diversi mesi farò 200 km al giorno per andare e tornare. Lavorerò come una pazza e pagherò per più ore la tata.

Collega: …Ma non credi che con questa scelta toglierai qualcosa ai tuoi figli?

Mamma Cattiva: (Penso, avrei preferito la supposizione che aspettassi il terzo figlio) Non credo, sai. È la migliore scelta di questi ultimi anni, insieme a quella di averli, questi bambini. Avranno una mamma felice, cattiva ma felice.

Per oggi i rumori di sottofondo sono sufficienti. E sono stata sintetica, molto sintetica.